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Perché il giubilo del mainstream sui “giorni di tregua” a Gaza è un insulto a qualsiasi vittima

by Stelio Fergola
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Roma, 28 nov – Altri due giorni di tregua a Gaza! E i “che bella notizia” si diffondono non solo lasciando dietro di essi un fastidioso olezzo di ipocrisia, ma anche un altro tipo di fastidio abbastanza inquietante, forse perfino di più.

I giorni di tregua e le “gioie”

Italia sotto inchiesta su Radio 1 è la trasmissione campione mondiale di retorica e di finta vicinanza a chi soffre. Questa è la premessa. Ieri, sulla scia delle “soddisfazioni” dei politici mondiali per i giorni di tregua a Gaza – che in realtà ci stanno eccome, insomma, è un risultato temporeaneo da evidenziare – quell’altra campionessa mondiale rispondente al nome di Emanuela Falcetti ha seguito l’onda (come, a dire il vero, spesso fa) di una sottospecie di “gioia”. “Una bella notizia”. Una tregua di altri due giorni è una bella notizia. E poi? Altre tregue, per ricevere altre “belle notizie”, magari. E poi? Come prosegue questa strada disperata verso le “belle notizie”? Diamo la giusta dimensione a ciò che avviene, anche per non risultare stucchevoli: e rispettiamo chi vive sofferenze per noi completamente inimmaginabili.

Un insulto non solo per i palestinesi, ma per le vittime in generale

Quelle gioie per i giorni di tregua sono un insulto ai palestinesi. È ovvio che sia positiva l’interruzione di uno sterminio di massa con pochi precedenti nell’ultimo secolo e mezzo. Ma c’è modo e modo di descrivere la cosa. La formula più consona è probabilmente quella della neutralità. Perché tregua, signori miei, per i poveri disgraziati che si trovano sul campo, significa ancora poco. Significa tempo per ricominciare a scappare, ma al tempo stesso alcuna garanzia di un aspetto dell’esistenza di cui noi – per il momento – ancora godiamo: la certezza pressoché totale di non trovarci bombe sulla testa. La bella notizia è la fine del conflitto, la risoluzione della – forse insolubile, ed è quello il vero dramma – situazione mediorientale, la “certezza” di non ricevere più missili addosso. Ma tregua significa tregua. Dopo di essa, ricominciano a scoppiare le bombe. E trovo francamente insultante per i palestinesi – ma anche per qualsiasi altro tipo di vittima coinvolta nel conflitto – accennare a qualsiasi forma di sollievo. Il sollievo ha un senso se c’è un trattato di pace e una soluzione di convivenza pacifica. Altrimenti si sta solo facendo tanto teatro strappalacrime che con la realtà ha poco a che fare.

Stelio Fergola

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