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La peste scarlatta: la fine del mondo secondo Jack London

by Francesco Boco
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1 Jack LondonRoma, 21 feb – La decadenza di una civiltà non è già la sua fine, ma una fase più o meno lunga di svuotamento, degenerazione e perdita. Sebbene la storia conservi la memoria di crolli di culture un tempo vitali, si può solo supporre che l’esito del declino sia la fine di un’epoca divenuta irripetibile. Le dinamiche determinate dalla diffusione planetaria della tecnica infatti scardinano ogni rigido organicismo, introducendo nel divenire delle variabili che rispondono a paradigmi artificiali o culturali. Sempre più il futuro della vita sul pianeta Terra sembra legata a scelte umane. Dal punto di vista biologico il sovraffollamento urbano e il disboscamento di ampie aree naturali sono tra i fattori determinanti la diffusione di pandemie, oltre a creare i presupposti di una lotta per la sopravvivenza dettata da motivazioni a cui la civiltà occidentale si proponeva di porre rimedio. Persino l’ottimismo illuminista è oggi costretto in ritirata di fronte alle prospettive disperanti di un avvenire che non sembra corrispondere alle sorti magnifiche e progressive. Il senso della fine di un’epoca è un prisma composto da svariate facce, le quali convergono in una visione unitaria di disgregazione senza via di scampo apparente.

Il passo successivo, immaginare il “dopo”, è un campo di pertinenza della letteratura, in particolare della narrativa fantascientifica post-apocalittica, la quale ha cercato sin dai suoi inizi di prefigurare il mondo del dopo-catastrofe. Tra i racconti più significativi e influenti di questo genere va annoverato il racconto di Jack London La peste scarlatta, da poco ripubblicato in nuova traduzione dalle Edizioni di Ar.  Si tratta di un romanzo breve che riprende i classici temi dell’autore americano quali la lotta per la sopravvivenza, il senso incombente di minaccia e tragedia, la natura selvaggia e stupenda per calarli in un contesto post-catastrofico nel quale i pochi esseri umani sopravvissuti sono ridotti a un livello di vita primitivo. L’illustrazione di copertina, evocativa e allusiva come tante altre firmate da Curzio Vivarelli, riassume la distruzione della civiltà delle macchine per mezzo di un misterioso morbo scarlatto che incombe sulla scena. Il tramonto ha i caratteri della pandemia e l’infiacchimento dei caratteri spalanca l’abisso della disgregazione di cellule e tessuti. Della grandiosa struttura industriale che imbrigliava il pianeta in un processo di sfruttamento incessante, non restano che vuote vestigia, inutili e, infine, insignificanti. La narrazione ha inizio lungo i resti di binari abbandonati e ingombri di vegetazione. Un vecchio e i suoi tre nipoti, coperti di pelli cenciose, vanno in cerca di cibo da raccogliere o cacciare. In un momento di sosta il nonno coglie l’occasione per raccontare ai giovani quello che ricorda della fine della civiltà, avvenuta diversi decenni prima. La peste scarlatta si diffuse con letale rapidità, provocando in tempi rapidissimi il crollo della società e la scomparsa di ogni legge e normalità. La morte rendeva uguali i ricchi e i poveri, mietendo vittime a piene mani sia tra le classi dirigenti che tra le masse operaie. Così ben presto, il vecchio che al tempo era uno stimato professore universitario, si trovò a condurre una lotta per la sopravvivenza a un livello di esistenza quasi ferino. La specie umana, che prima aveva abitato ogni angolo di mondo, ora era ridotta a un numero davvero ristretto di esseri viventi, isolati in piccoli gruppi, governati da capi clan che davano il nome alla loro popolazione.

London mette bene in luce un aspetto che si richiama per certi versi alle concezioni cicliche della storia della civiltà. Una volta distrutta la precedente configurazione storica, l’uomo non potrà far altro che ricominciare da capo il suo cammino. Non potrà che continuare a salire la china dei tempi, portando con sé il fardello di un’esistenza fragile ma agguerrita. Così di nuovo attorno ai fuochi si riuniranno i ristretti gruppi che ripopolano la Terra. Nuove gerarchie si organizzeranno lentamente e nuove autorità stabiliranno il loro primato. Così, secondo Jack London, alla catastrofe seguirà una lenta ricostruzione della civiltà. Lo dice chiaramente, il nonno mette come può le basi per una rinascita delle nobili stirpi europee.  «Stiamo aumentando rapidamente e ci stiamo preparando per una nuova ascesa verso la civiltà. Col tempo, la pressione demografica ci costringerà a disperderci e possiamo prevedere che tra cento generazioni i nostri discendenti varcheranno le Sierras per diffondersi lentamente, una generazione dopo l’altra, in questo grande continente e colonizzare l’Est: una nuova migrazione ariana su tutta la Terra. Ma sarà un processo lento, lentissimo; dobbiamo risalire molto in alto. Siamo sprofondati in un abisso senza fondo».

Attraverso il sapere custodito nei libri nascosti in una caverna, il vecchio confida che un giorno le conoscenze fondamentali potranno di nuovo tornare utili agli uomini. Frammenti di un’eredità disgregata ma non esaurita, che come braci attendono il tempo di tornare a divampare.

jack london peste scarlattaL’invasione senza precedenti è un racconto breve posto a chiusura del volume. Si tratta di un altro scritto fantascientifico fortemente improntato a una visione catastrofista della storia. Qui è la crescita esponenziale della popolazione cinese a rappresentare una minaccia esiziale per i popoli occidentali. Jack London dimostra in quest’occasione una lucidità di previsione notevole, cogliendo la funzione di pungolo della vittoria giapponese sulla Russia nel 1904, dopo la quale iniziò la lunga ascesa dell’Estremo Oriente al rango di grande potenza mondiale. Altri aspetti richiamano significativamente gli sviluppi storici oggi noti e, più di tutto, la questione demografica dei popoli extraeuropei qui richiamata non fa che sollecitare una riflessione onesta e disincantata sull’attuale crisi demografica occidentale e la crisi immigratoria che preme sull’Europa.

Per altro la smisurata crescita demografica è una delle maggiori cause della diffusione di epidemie. Infatti l’aumento della popolazione richiede l’abbattimento di foreste per fare spazio ad aree urbane e industriali. La distruzione dell’ambiente naturale causa la fuga e la dispersione di specie animali come i pipistrelli o le scimmie che sono potenziali vettori di malattie quali Aids ed Ebola. A questo punto il passaggio dall’animale all’uomo avviene attraverso un “ospite” che può essere un maiale o un cavallo infettato attraverso un morso, il sangue o la saliva. In situazioni di sovrappopolamento prodotto da alta densità abitativa dunque la trasmissione può avvenire molto rapidamente e sfuggire al controllo. Alla luce di quanto sopra, bisogna dire chiaramente che non è possibile vero ambientalismo senza un’attenta politica di controllo demografico dei paesi del Terzo mondo (Cfr. D. Quammen, Spillover, Adelphi; J. Diamond, Collasso, Feltrinelli; I. Eibl-Eibesfeldt, Dall’animale all’uomo, Di Renzo Ed., P. Linkola, Can life prevail?, Arktos Media).

Il racconto del grande scrittore americano dunque non poggia sulla sola fantasia, ma si fonda su cause scientifiche. La fantascienza infatti non è un genere letterario di pura astrazione e allontanamento dalla realtà, ma serve ad anticipare come il futuro potrebbe essere se le cose andassero in un certo modo. È una via artistica e sinistramente piacevole di pensare il futuro. Non parla di cose reali ma di fatti realistici, che attraverso un ripensamento attualizzante costringono a porsi il problema del domani, la conseguenza delle scelte dell’oggi.

Molti fattori reggono la civiltà ed è per un insieme di concause che essa può infine crollare. Questi elementi possono ben convergere verso una catastrofe sanitaria piuttosto che bellica o economica e così via. Il disperante romanzo distopico di Cormac McCarthy La strada è l’esempio più recente di cosa potrebbe avere in serbo il futuro per un genere umano dimentico dell’equilibrio della biosfera di cui è custode.

La strada è un’Eneide del mondo morto, il viaggio di un padre per salvare il figlio, l’estremo tentativo di custodire il fuoco nella desolazione di ombre e morte che tutto ammorba. Questo fuoco è il simbolo primordiale dello stare insieme, della condivisione e della comunione. Il cuore pulsante attorno a cui si stringono i legami che innalzano l’esistenza umana alla vita di popolo. Il fuoco è generatore, è un piccolo sole che dev’essere conservato e mantenuto vivo anche e soprattutto nell’attraversamento della notte estrema.

La letteratura catastrofica non va dunque intesa come un modo per abdicare alla realtà, l’ennesima fuoriuscita nel virtuale, piuttosto essa è la schietta sferza che impone un ripensamento delle proprie scelte e delle proprie capacità. Presenta la prova estrema come sempre possibile, di nuovo incombente. Forse l’uomo si trova al culmine estremo di un’epoca, nel frangente di una decisione di portata vitale. Non è dato sapere come sarà di preciso il futuro, ma di certo nuove ipotesi saranno sempre possibili alla luce del convergere di fattori che talvolta sfuggono alla piena comprensione. Per quanto si parli di sicurezza e benessere, l’orrore arrossa l’orizzonte e chiede il suo tributo.

Francesco Boco

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