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Con il remake di Point break lo spirito del ’91 è morto e sepolto

by La Redazione
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618_348_point-break-stunts-tktkRoma, 28 gen – Con tutto le scetticismo di un fan accanito del film di Kathryn Bigelow del 1991, mi reco al cinema per questo remake di Point Break di venticinque anni dopo, sorprendendomi non poco per lo scarso afflusso in sala nonostante fosse il primo giorno di programmazione. I primi minuti partono bene, presentandoci un nuovo Utah (Luke Bracey), non più il poliziotto mezzo sfigato, l’ex quarterback che ripiega su una vita votata all’Fbi, ma un “poli-atleta estremo”, che sette anni prima perde un amico durante una prova di motocross. E sono proprio il motocross, il surf, il bungee jumping, il freeclimbing e soprattutto il wingsuit, i veri protagonisti del film, rendendolo una sorta di “spottone” per gli sport estremi. Il wingsuit, cioè il volo con la tuta alare, è il l’oggetto di una scena senza precedenti (e che non verra più ripetuta) dove quattro protagonisti volano ad una velocità incredibile all’interno di una crepa delle Alpi svizzere, con un quinto li riprende in coda. Jhonathan Florez, proprio lo stunt che con il casco riprende tutto con una telecamera, ha perso la vita qualche mese dopo la fine delle riprese, sempre in un lancio nelle Alpi svizzere, e fatto che potrebbe far rimanere la scena da lui girata un caso unico nella storia del cinema, dato che in futuro probabilmente non si potranno girare scene pericolose senza effetti digitali.

Nel corso della storia il nuovo Bodhi (Edgar Ramirez) e la sua banda (nella quale Utah come da copione è entrato sotto copertura), devono completare le otto prove di Ozaki, che consistono in un misto di scaimanesimo, guerriglia eco-solidale e diatribe filosofiche zen, per le quali il regista Ericson Core si avvale della collaborazionne di attori semi sconosciuti, senza neanche uno spicchio del carisma di quelli del film del 1991. Tra discorsi e battute banali, in un intreccio sempliciotto, le scene vengono anticipate senza la minima suspense. Non traspare un attaccamento reale, una visceralità virile, neanche una contesa per la donna tra Utah e Bodhy nei confronti della protagonista femminile, ruolo che fu di Lori Petty, e che nel 2016 viene assegnata ad una bella quanto sfumata Tara Palmer nel ruolo di Samsara. E’ la voglia di prendersi un po’ troppo sul serio, esponendo un’indeformabile voglia di farsi rigido, senza quello spirito guascone e approssimativo ma senza pretese del film originale, che svilisce i 112 minuti della pellicola.

E’ soprattutto, più di ogni altra cosa, assente l’incontro/scontro tra due mondi agli opposti con tutta l’identificazione ossessiva che ne scaturiva. Qui Bodhi è più vicino a un Robin Hood in crisi mistica, Johnny a un agente federale della Louisiana piuttosto anonimo. La scena finale non è neanche una lontana parente di quella epica del’91, con quell’onda, l’apertura delle manette e la libertà. Non ci sono discorsi da ribelli intorno a un falò, non ci sono giochi di maschere a ricreare alcunchè, nessuno che si batte contro il sistemache uccide lo spirito dell’uomo“, né alcun esempio “per quei morti viventi che strisciano sulle autostrade nelle loro infuocate bare di mettallo“, tanto meno qualcuno che dimostra che “lo spirito dell’uomo è ancora vivo“. Uscendo dalla sala ti resta soltanto l’ostentazione del product placement delle multinazionali (The North Face, Red Bull, GoPro e X Games su tutte), incastrato in un impianto filosofico eco-zen posticcio, che non ha la capacità di costruire, disseminando un po’ di qua e un po’ di là, qualcosa in grado di avere spina dorsale e spirito.

Manfredi Pinelli

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2 comments

Anonimo 29 Gennaio 2016 - 5:11

Rimpiangere un film manifesto quanto mai chiaro della politica reganiana., “La pace si ottiene con una potenza di fuoco superiore”, era impresa difficile ma su questi lidi, vedo che ci si è riusciti. Questa nuova versione è speculare alla precedente, senza anima e fintamente anti-sistema quando al fondo sposa in pieno lo spirito americano espresso nella frase iniziale.

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francesco retolatto 29 Gennaio 2016 - 5:13

il commento qui sopra o qui sotto è mio.
Non è mia abitudine servirmi dell’anonimato.
Avevo dimenticato di inserire i miei dati.

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