San Diego, 29 apr – Il dibattito finora aperto sull’esistenza o meno di un “punto di non ritorno” per il ghiaccio marino artico è stato apparentemente risolto da una ricerca pubblicata in questi giorni sul Journal of Climate e condotta dal prestigioso Istituto di oceanografia Scripps dell’università della California a San Diego, Usa. La risposta della scienza è no. Un sospiro di sollievo e una grande responsabilità per l’umanità, cerchiamo di capire perché.
La questione è abbastanza complicata: in conseguenza del riscaldamento globale del clima, che solo il 2% degli scienziati che pubblicano articoli regolari ormai nega, il ghiaccio marino artico si scioglie sempre più, tanto che quasi ogni anno in settembre si tocca il minimo assoluto da quando esistono i satelliti meteorologici (cioè dal 1979). Il problema è questo: esiste o meno una soglia di scioglimento oltre la quale l’artico perderà tutto il suo ghiaccio, tanto da rimanerne praticamente libero tutto l’anno e sostanzialmente per sempre?
I modelli fisico-matematici più semplici e controllabili, detti “modelli di processo”, prevedevano che questo punto di non ritorno esistesse, mentre i complicatissimi modelli di circolazione globale dell’atmosfera e degli oceani lo escludevano.
I ricercatori Till Wagner e Ian Eisenman dell’istituto Scripps sembrano aver risolto il dilemma, introducendo un modello intermedio, ancora controllabile ma più completo rispetto ai modelli di processo: anche se il ghiaccio marino del polo nord dovesse sciogliersi completamente in estate, o perfino tutto l’anno, se e quando il clima della Terra dovesse raffreddarsi a sufficienza il ghiaccio si riformerà allo stesso ritmo con cui è scomparso (ovviamente in relazione alla temperatura).
Argomento complicato ma notizia facile da capire: se finora si tendeva ad accettare con rassegnazione l’inevitabile, cioè di perdere per sempre il ghiaccio artico, invece pare che il clima della Terra sia così stabile che basterà invertire la rotta del riscaldamento per tornare al punto di partenza.
“I nostri risultati mostrano che la base per un punto di non ritorno del ghiaccio marino non tiene quando si aggiungano ai modelli più semplici alcuni processi-chiave”, sostiene Wagner. “In altre parole, nessun punto di non ritorno dovrebbe cancellare per sempre quello che è rimasto del ghiaccio marino artico estivo. Così, se il riscaldamento globale dovesse scioglierlo tutto velocemente, almeno possiamo aspettarci di poter tornare indietro se in qualche modo riusciremo a raffreddare il pianeta”.
Lo studio è stato finanziato, oltre che dalla Fondazione nazionale per la scienza (NSF), anche dalla marina militare Usa, Ufficio per la ricerca navale (ONR), in conseguenza del grande interesse per la sicurezza e l’economia statunitensi derivante dal destino dell’oceano artico. Si pensi per esempio alle rotte commerciali, alla possibilità di sfruttamento degli idrocarburi artici (che oggi costa ancora troppo) e – non da meno – al vantaggio che si creerebbe per la marina militare Russa dalla disponibilità di un artico sempre libero dai ghiacci.
Al di là degli interessi nazionali americani, è abbastanza chiaro che una perdita definitiva del ghiaccio artico per tutto l’anno avrebbe conseguenze difficilmente prevedibili non solo sull’ecosistema locale, ma anche sul clima globale del pianeta.
Quello che si osserva è che di anno in anno il ghiaccio marino artico in estate perde sempre più volume e superficie e che probabilmente entro il 2030 scomparirà quasi completamente almeno per qualche giorno in settembre, inoltre che si intravedono i primi segnali di diminuzione anche della copertura glaciale invernale, e per finire è probabile che nei prossimi anni il riscaldamento del clima accelererà ulteriormente.
Per tutto questo la notizia è importante: oggi sappiamo che il processo non sarà irreversibile, quindi il destino del ghiaccio artico sarebbe nelle nostre mani.
Francesco Meneguzzo