Roma, 7 apr – Nonostante il jazz sia un genere musicale nato negli Stati Uniti verso la seconda metà degli anni ’10 (gli storici indicano il 1917), comincia a diffondersi in Europa già dalla fine della Grande Guerra e il nostro Paese fu tra i primi a scoprirlo. A riprova di questo, possiamo citare l’esempio di una Orchestra del Trianon di Milano, che nel 1919 incide una discreta versione di “At The Jazz Band Ball”, un brano in stile dixieland allora molto popolare.
La diffusione del genere musicale prende veramente piede nel nostro paese solo nel secondo dopoguerra, per varie vicende storiche e politiche. Sono proprio gli anni successivi al conflitto quelli in cui molti musicisti (professionisti e non) entrano in contatto con questa musica, passata per radio sempre più di frequente.
Il jazz si diffonde in quanto genere musicale dalle sonorità nuove e fresche: suonare jazz è per i musicisti italiani un’ottima palestra musicale e un modo per emergere negli anni difficili del dopoguerra. La generazione di jazzisti formatasi in questi anni comprende molti grandi nomi nel panorama musicale italiano, tra i quali Franco Cerri e Filippo Daccò, Bruno Martino, Giorgio Gaslini e anche Romano Mussolini, il quarto figlio del Duce.
Nato a Forlì il 26 settembre 1927 e comincia a suonare il pianoforte all’età di sette anni da autodidatta. In seguito alla sconfitta nella seconda guerra mondiale e la caduta del fascismo, le cose si mettono male per la famiglia Mussolini. Cercando di superare le numerose difficoltà economiche (lavora come semplice impiegato di banca e deve esibirsi sotto falso nome), si unisce al quintetto di Ugo Calise, incontrato ad Ischia nel 1945 durante il confino insieme a Donna Rachele e alla sorella Anna Maria.
Negli anni cinquanta, convinto dai suoi amici ad esibirsi senza più usare pseudonimi, inizia ad esibirsi con il suo gruppo, “Romano Mussolini All Stars“, incidendo per la RCA Italiana e incontrando il favore della critica. In questi anni comincia ad affermarsi come uno dei più rilevanti pianisti jazz in Italia e non solo, suonando con alcuni grandi del genere tra cui Dizzy Gillespie, Lionel Hampton, Tony Scott e Chet Baker. Proprio con il sestetto di Chet Baker si troverà a suonare nel 1959 a Torino, le cui registrazioni sono un importante documento del jazz italiano. In particolare rimangono due riprese in cui accompagna il trombettista e cantante statunitense in “My Funny Valentine” e “All The Things You Are”.
Negli anni sessanta e settanta compone ed esegue colonne sonore di vari film. Sempre negli anni settanta ha modo di collaborare con alcuni grandi del genere, come il già citato Franco Cerri e Pino Presti; di questi anni ricordiamo anche alcune registrazioni di brani famosi rielaborati in chiave fusion (corrente del jazz degli anni settanta, di moda in quegli anni). Muore a Roma il 3 febbraio 2006.