Roma, 7 apr – La campagna di Russia fu una delle azioni militari più imponenti del XX secolo. Per l’Italia fu il terreno adatto per dimostrare l’eroismo dei nostri soldati di fronte a tutto il mondo. Sergio Sammartino cadde in territorio nemico lasciando un grande vuoto nella propria famiglia.
Una famiglia di eroi di guerra
Sergio Sammartino nacque ad Agnone, in provincia di Isernia, il 5 aprile 1915, alla vigilia dello scoppio della Grande Guerra. Il padre morì durante la prima guerra mondiale colpito a morte dal nemico. Rimasta vedova con due figli, la madre poco più che trentenne dovette insegnare ai figli i mestieri di casa: l’artigianato. L’Italia passava, però, un periodo difficile dovuto alla carestia della guerra e la nascita del nuovo modello industriale.
Sammartino, tuttavia, era dotato di un fisico prestante e slanciato e, di conseguenza, si iscrisse all’Accademia Militare di Torino uscendone con il grado di sottotenente. Era abituato al clima montano dato che trascorse gran parte della sua vita sull’Appennino centrale. Per questo motivo venne posto nel corpo degli Alpini, più precisamente nella Divisione Julia.
Il “fascista perfetto”
Investito in pieno dalla disciplina dell’«uomo nuovo» fascista, Sergio Sammartino eseguiva gli ordini precisi e puntuali dava il meglio di se in ogni addestramento ed era sempre in prima fila per dimostrare la sua preparazione. Il suo carattere lo rese ben voluto da gran parte dei suoi colleghi e commilitoni.
Una volta scoppiata la guerra, venne mandato sul fronte greco – albanese dove ricevette plurime medaglie. Secondo le fonti più accreditate, Sammartino andò sotto il fuoco nemico e, inviso alla morte, portò in salvo quante più persone gli fosse possibile.
Ben presto, il suo esempio venne seguito da molte altre persone e gran parte dei soldati in battaglia vennero portati in salvo. Per questo suo coraggio e piena fiducia, Sergio Sammartino venne chiamato alle armi per combattere in Russia. Del soldato non si seppe più nulla fino al 1994. In questa data un suo compagno ne accertò la morte a Smolensk, colpito dai colpi sovietici. Solo un’epigrafe ne ricorda l’esempio sulla sua casa natale.
Tommaso Lunardi