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Da Ruby ai sindaci trans. La sessualizzazione perenne della vita pubblica

by Matteo Fais
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Roma, 29 mag – Ormai la politica ricorda sempre più quella barzelletta in cui, in un locale, si vede entrare un pene e un cliente chiede al barista “Scusi, e l’uomo?”, “Il suo ca**o lo precede”. La cosa sarebbe divertente, se si limitasse appunto a essere un calembour e non la nostra quotidianità politica. Sta di fatto che persino il New York Times ha annunciato entusiasta l’elezione, in Italia, del primo sindaco trans. Si fatica a capire cosa ci sia di tanto grandioso nel fatto. Come esultare all’idea di avere un primo cittadino che in vita sua sia stato con 50 donne piuttosto che con 49.

Silvio e l’affaire Ruby

Purtroppo tale prassi va avanti da diverso tempo. Volendo rintracciare il principio di tutto, bisognerebbe risalire a quando esplose lo scandalo avente come protagonista Berlusconi. Si parla dell’affaire Ruby e dei palazzi pieni di escort mantenute dall’ex premier. In puro spirito puritano di derivazione americana, si pensò di screditare agli occhi dell’opinione pubblica il politico sulla base dello stile di vita dell’uomo. Purtroppo per i censori, molti italiani si guardarono in faccia scambiandosi occhiate di complicità e una diffusa tendenza empatizzante avvolse il Silvio nazionale. In sostanza, tutti quanti – o almeno molti maschi –, in segreti conciliaboli, si confidarono l’un l’altro che “se avessi i suoi soldi, pure io li avrei dilapidati a tr*ie”. L’affondo riuscì solo in minima misura e si dovette dunque ricorre al martello dello spread.

Un elemento di esclusione e pregiudizio

L’elezione di un sindaco transessuale ci riporta pertanto al punto nodale della perenne sessualizzazione della vita pubblica, l’idea cioè che la sessualità si liberi in ragione di questa folle tendenza a ricercare la trasparenza assoluta agli occhi della comunità. Come se la differenza tra il macellaio X e quello Y fosse data dal fatto che uno ha moglie e l’altro pure l’amante, invece che dalla qualità del prodotto venduto. Bisognerebbe, dunque, chiedersi: ma è libera la mia sessualità se diventa di pubblico dominio? No! Si tramuta piuttosto in un elemento di esclusione e pregiudizio – un bigotto, per esempio, potrebbe non acquistare in un certo negozio perché non condivide le passioni sessuali del negoziante. E, anche quando la faccenda sembra avere dei risvolti apparentemente inclusivi, come nel caso del sindaco di Tromello, finisce unicamente per appiattire il soggetto sulla sua dimensione pulsionale, quando non addirittura meramente genitale. Il risultato è far passare in secondo piano il solo valore fondamentale che ogni singolo uomo dovrebbe esibire agli occhi della comunità di appartenenza, ovvero il suo contributo alla vita pubblica, l’unica cosa che conti fuori dalla stanza da letto.

Matteo Fais

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