Milano, 27 mar – Ci spiegano che così vanno le cose, che il calcio moderno ha le sue imprescindibili esigenze, quelle per cui il giuoco del calcio è rapidamente passato da sport a spettacolo, quindi a business. E quando si tratta di business c’è poco da fare i sentimentali, ci si deve stare. Il discorso ci porterebbe lontano, come meriterebbe un capitolo a parte la questione delle proprietà straniere nel calcio italiano. Ma qui vogliamo parlare di un monumento che, con tutta probabilità, sarà raso al suolo: lo stadio di Milano, San Siro, dal nome del quartiere in cui sorge. Nota: la denominazione, ufficiale dal 1980, di “Giuseppe Meazza” è cara soprattutto ai tifosi dell’Inter, orgogliosi del loro “Balilla”, due volte campione del mondo con la nazionale durante il fascismo, che nonostante una breve parentesi in maglia rossonera, rimane un’icona della Beneamata.
Il nuovo stadio, un’arena da 60 mila posti
Sì, a quanto pare, lo butteranno giù lo stadio “Meazza in San Siro”, come lo chiamavano i vecchi radiocronisti. Questo prevede il piano per la costruzione di un nuovo impianto che dovrebbe ospitare sempre entrambe le squadre milanesi. Secondo i progetti sarà un’arena da 60 mila posti, con tutte le caratteristiche delle strutture più moderne, con servizi, esercizi commerciali e di intrattenimento paralleli allo scopo principale. Tutto ciò che serve (nell’accezione più ampia del termine) al dogmatico e intoccabile binomio spettacolo-business.
Ci si deve stare. E non piangano i romanticoni delle gradinate, ché non è aria. Si attacchino. Si attacchino ai loro sbiaditi ricordi di quando non c’erano i seggiolini di plastica, c’era una sola cancellata d’ingresso (con gli spuntoni per evitare, poco efficacemente, che si potesse “scavalcare”) e si riusciva a entrare con una fiaschetta di grappa. D’altronde alla partita si andava, come ad una messa laica, solo di domenica, nel primo pomeriggio. E basta menarla, come si dice a Milano, coi numeri dall’1 all’11 e altre certezze da antiquariato. Razza di nostalgici che non siete altro. The show must go on, tié!
Una storia gloriosa
Ma ripercorriamola brevemente la storia di San Siro. Lo stadio fu costruito tra il 1925 e l’anno successivo per iniziativa dell’allora presidente del Milan, Piero Pirelli. Inaugurato il 19 settembre 1926 con un derby amichevole (finito 3-2 per l’Inter), l’impianto aveva una capienza di 35 mila posti, distribuiti su quattro tribune rettilinee di cui una parzialmente coperta. Nel 1935 fu acquistato dal Comune di Milano e contestualmente iniziarono i lavori di ampliamento che, grazie alla costruzione di quattro curve che completavano le strutture preesistenti, portarono il catino di cemento a poter ospitare fino a 55 mila persone.
Vent’anni dopo, nel ’55, iniziò l’edificazione di un secondo anello che quasi raddoppiò la capienza totale (circa 100 mila posti, poi ridotti per ragioni di sicurezza a 85 mila). Quella fu la forma e la capacità dell’imponente stadio di San Siro fino ai Mondiali di Italia ’90, appuntamento per il quale furono aggiunti un terzo anello e una copertura totale delle tribune, dotate queste di soli posti a sedere, numerati e con seggiolini di plastica. I settori furono quindi divisi da vetrate.
Da grande e bello, come già era, il Meazza divenne così modernamente monumentale, apprezzato come uno degli impianti più seducenti al mondo. Nel 2009 una classifica del Times lo collocava al secondo posto per bellezza dietro il Westfalenstadion di Dortmund e davanti ad Anfield Road, tana del Liverpool. E per avvalorare il giudizio il quotidiano inglese scriveva: “La prima volta che vedi lo stadio Giuseppe Meazza è impossibile non avere un sussulto. Quando è illuminato, sembra un’astronave atterrata nella periferia milanese”.
Un mito internazionale
Ecco, il commento del giornalista britannico è indicativo di un impianto già molto moderno e avveniristico, anche se il suo cuore ha radici antiche. Radici ricche di riferimenti, aneddoti e vicende che vanno oltre il fatto che quello stadio abbia ospitato illustri gesta sportive. San Siro fu dapprima la casa del Milan che andava così ad assecondare le sue ambizioni, coniugandole alla tradizionale estrazione popolare e operaia (da cui casciavit, cacciaviti) della propria tifoseria. Lì infatti si era ben lontani dal centro città, allora praticamente in campagna. “Andavamo in periferia a prenderci i due punti e tornavamo a Milano”, ricordava sfottendo quel bauscia (sbruffone, il termine meneghino per gli interisti) dell’avvocato Prisco. Già, perché l’Inter, che aveva un seguito di estrazione più elevata, giocava dal 1930, dopo peregrinazioni su vari campi cittadini come fu anche per i rivali, all’Arena Civica, nel cuore della metropoli. Ma poi i nerazzurri raggiunsero i cugini nel dopoguerra e dal 1947 iniziarono a dividere con loro le mura domestiche.
Per milanisti e interisti San Siro, il Meazza, è il monumento di una storia ricca di gioie e dolori, storici trionfi ed epocali disfatte, ma c’è di più; sia gli uni sia gli altri, per generazioni, hanno accumulato un patrimonio di emozioni sacrali, a tal punto da considerare il proprio stadio come una cattedrale, ben oltre la definizione di “Scala del calcio” che è andata negli anni diffondendosi. Quel monumento tra poche stagioni non ci sarà più. “E’ come se buttassero giù il Duomo per farci un centro commerciale”, esagera qualche milanese. Esagera? Forse no.
Fabio Pasini
2 comments
…..se gli porta soldi… anche il colosseo…
l’unica scemenza è farne ancora uno condiviso, se si passa al calcio business ognuno deve farsi il suo stadio, via i soldi pubblici e il Comune, si paghino tutto cinesi e americani.