Cagliari, 15 ago – Gli apporti provenienti dalla penisola italiana costituiscono indubbiamente, dal punto di vista demografico e culturale, l’elemento esogeno determinante nell’etnogenesi del popolo sardo, dalle prime migrazioni di età neolitica, ai legami protostorici tra Sardi ed Etruschi, alla lunga e integrale romanizzazione realizzata durante sette secoli, a cui l’Isola deve la sua attuale lingua e cultura neo-latina. Dopo la parentesi bizantina e alto-giudicale il legame con l’Italia, riconsacrato dalla vittoria dell’alleanza tra Sardi, Pisani e Genovesi sull’invasore musulmano, fu rinnovato dagli ordini monastici venuti dall’Italia, dalle repubbliche di Pisa e di Genova, dalla casata ligure dei Doria e dalle famiglie toscane dei Visconti, degli Obertenghi, dei Capraia, dei Gherardesca e dei Malaspina. Questo apporto rifulse nella grande architettura romanico-pisana, nell’assetto urbanistico delle città fondate o riorganizzate in quel periodo, come Cagliari, Sassari, Iglesias e Bosa, negli statuti delle città sarde scritti in lingua italiana sulla base del diritto municipale italico, nell’ampia diffusione della lingua e della cultura italiana nell’Isola a fianco dell’autoctona lingua sarda.
Declino della presenza italiana in Sardegna
La conquista aragonese dell’Isola avvenuta tra il 1324 e il 1409, oltre a sottrarre la Sardegna alla benefica sfera d’influenza commerciale delle dinamiche e progredite economie di Pisa e Genova e imporre nell’Isola un’arretrata economia feudale, che la Sardegna giudicale non aveva mai conosciuto, mise a repentaglio il legame culturale della Sardegna con la penisola: “Nei secoli dal XV al XVIII l’isola generosa, che aveva profondamente sentito l’influsso dell’arte, della cultura e del diritto italiano, venne conquistata, sia pur lentamente e attraverso resistenze ostinate, alla Spagna dominatrice. Ferdinando il Cattolico, unificando la legislazione, si sforzò di cancellarvi quanto ricordava Pisa e Genova (…) Infrante le resistenze tenaci della Sardegna, spento il fiore della civiltà italica, la lingua, la cultura, le costumanze, il diritto, il modo di vivere erano divenuti spagnoli. C’era da temere veramente che l’isola maggiore del Tirreno fosse perduta per l’Italia” (“Sardegna”, Enciclopedia Treccani, 1936).
La cessione della Sardegna ai Savoia (1720)
Nella guerra di successione spagnola (1700-1713), si contrapposero i pretendenti al trono di Spagna Carlo III d’Asburgo (sostenuto da Gran Bretagna, Paesi Bassi, Asburgo, Savoia e Porto-gallo) e Filippo V di Borbone (sostenuto da Francia e Baviera). La nobiltà sarda si divise tra i due schieramenti. Prevalse il Borbone, ma l’antico Regno di Sardegna sorto a Bonaria nel 1324 passò agli Asburgo con il Trattato di Utrecht (1713).Dopo l’effimera riconquista spagnola ad opera del cardinale Alberoni, con il Trattato di Londra del 2 agosto 1818 la Sardegna passò ai Duchi di Savoia, precedentemente insigniti della Sicilia. In questo modo Casa Savoia, conquistando la dignità regale, entrava a far parte delle grandi casate europee e la Sardegna tornava nell’alveo per essa naturale della civiltà italiana. Il primo Vicerè sabaudo, il Barone di Saint-Rémy entrato in carica il 2 settembre 1720 in nome di S.M. Vittorio Amedeo II di Savoia, doveva però giurare davanti agli Stamenti sardi di rispettare i trattati internazionali, i privilegi e le leggi dei precedenti governi, come stabilito dal Trattato di Londra.
I primi anni del governo sabaudo
Questa limitazione giuridica imbrigliò nei primi decenni l’azione riformatrice del nuovo governo sabaudo in Sardegna, anche se da subito il Barone di Saint-Rémy si adoperò per rimediare alla precedente cattiva gestione finanziaria introducendo il bilancio unico annuale. Inoltre, “Vittorio Amedeo II mirò a ristabilire incontrastata l’autorità sovrana al di sopra dei feudatari e di ogni classe di cittadini, a mettere ordine nel caos giudiziario, amministrativo e finanziario; volle abbassata la riottosa nobiltà” (“Sardegna”, Enciclopedia Treccani, 1936). L’antica controversia sull’alta potestà pontificia sull’isola fu risolta con l’accordo del 25 ottobre 1726, con cui Papa Benedetto XIII derogava al diritto d’investitura in favore di Vittorio Amedeo II. In questo modo il Sommo Pontefice rinunciava all’alta sovranità sulla Sardegna, che era stata all’origine dell’atto di infeudazione alla Corona d’Aragona del 5 aprile 1297. Il nuovo Re Carlo Emanuele III di Savoia promosse la costituzione nel 1744del glorioso Reggimento di Sardegna, che inaugurò la grande tradizione militare dei Sardi al servizio della dinastia sabauda prima e dell’Italia repubblicana poi.
Bogino ministro per gli Affari di Sardegna (1759-1773)
Una vera e propria stagione di riforme giuridiche, economiche e sociali in Sardegna (il c.d. “rifiorimento” sardo), quale espressione locale del più vasto fenomeno del riformismo illuminato che nel Settecento si diffuse tanto negli Stati italiani preunitari che nel resto d’Europa, prese avvio con la nomina, da parte di S.M. Carlo Emanuele III, di Giambattista Lorenzo Bogino quale Ministro per gli Affari di Sardegna nel 1759. Territori deserti come l’isola di San Pietro furono ripopolati da liguri provenienti dalla tunisina Tabarka, che fondarono la cittadina di Carloforte. Furono in quel periodo fondate anche Calasetta e Montresta. La principale riforma politica dell’epoca fu l’istituzione nel 1771, in tutti i paesi dell’Isola, dei “Consigli Comunitativi”, presieduti da un Sindaco eletto a turno nei tre ordini di cittadini: primo, mezzano e infimo. Per la prima volta, i sudditi dei feudi venivano coinvolti nella vita politica. Questa fu una novità epocale, poiché sino ad allora le sole città regie di Cagliari, Iglesias, Oristano, Bosa, Alghero, Castelsardo e Sassari godevano di un diritto municipale proprio e non erano soggette al sistema feudale istituito dagli Aragonesi. Bogino introdusse per la prima volta in Sardegna un regolare servizio postale. Il sistema tributario fu riordinato e reso più equo. L’agricoltura fu promossa con cattedre itineranti e pubblicazioni anche in lingua sarda, istituì nel 1767 in ogni paese i “monti granatici”, dove con modica spesa ogni contadino poteva rifornirsi di sementi. Nello stesso 1767, Bogino occupò le c.d. “isole intermedie” (arcipelago della Maddalena), la sovranità sulle quali era fino ad allora incerta. Nel 1770 il Viceré Des Hayes intraprese un giro di indagine conoscitiva nell’Isola, durante il quale fu seguito da un tribunale itinerante. Conseguenza di questo giro furono le prime direttive sulla sanità pubblica del 1771 e la “Pharmacopea sarda” del 1773. Dopo il 1770, il maggiore contributo al miglioramento dell’agricoltura sarda si dovette al Censore Generale Giuseppe Cossu. Si impartirono moderne disposizioni in materia di allevamento e macellazione. Furono introdotte costose macchine per la filatura e nuove macchine trebbiatrici, grazie alle quali nel 1790 la Sardegna raggiunse il primato di produzione di due milioni di starelli (un milione di quintali) di grano.
La cultura sarda nell’epoca di Bogino
Dal punto di vista culturale, Bogino stabilì che la lingua ufficiale del Regno di Sardegna fosse l’italiano, che i Savoia avevano adottato quale lingua ufficiale in Piemonte già dal 1561 al posto del latino. L’istruzione elementare e ginnasiale fu riorganizzata nel 1760 con l’introduzione dell’insegnamento obbligatorio della lingua italiana. Anche la lingua sarda, che era stata completamente marginalizzata in epoca aragonese e spagnola, visse una rinascita letteraria. A Bogino si deve anche la riapertura, dopo oltre cento anni, delle Università di Cagliari (1764) e Sassari (1765), con le Facoltà di Teologia, Giurisprudenza, Filosofia e Medicina. L’arrivo di molti professori universitari dal Piemonte, insieme con l’istituzione della Reale Stamperia di Cagliari nel 1767 e la pubblica zione di numerose opere di interesse sardo (come la “Storia naturale di Sardegna” di Francesco Cetti), contribuirono notevolmente alla rinascita della cultura in Sardegna.
Dal 1773 alla fine del secolo
Le riforme realizzate ebbero indubbiamente i loro benefici effetti: le migliorate condizioni economiche e sociali dell’Isola fecero salire la popolazione sarda dai 310.096 abitanti del 1728 ai 416.331 del 1771. Nel 1773, alla morte del padre, il nuovo Re Vittorio Amedeo III congedò il ministro Bogino. Durante il suo Regno, furono intraprese in Sardegna nuove opere di fortificazione militare e si istituirono i “monti nummari” per prestare denaro a basso tasso d’interesse agli agricoltori bisognosi e la “Giunta di ponti e strade” competente per la realizzazione delle infrastrutture viarie, mentre i Gesuiti furono allontanati dall’Isola e i loro beni espropriati. Il giurista cagliaritano Pietro Sanna Lecca procedette al riordino e alla pubblicazione degli “Editti e Pregoni del Regno”. L’ultimo decennio del secolo fu segnato dalla vittoriosa resistenza sarda contro l’invasione francese del 1793, dai moti cittadini di Cagliari dell’aprile 1794, conseguenti alla mancata presa in esame delle “cinque richieste” degli Stamenti e dall’insorgenza antifeudale di Giovanni Maria Angioy, inizialmente inviato come “Alter Nos” nella Sardegna settentrionale e poi messosi a capo della rivolta e sconfitto(dicembre 1795-giugno 1796). Dei moti cagliaritani e angioiani, tuttavia, già lo storico Girolamo Sotgiu invitava a dare una lettura non localistica, ma inserita nel più ampio fermento politico che all’epoca pervadeva l’Europa. Essi, inoltre, erano diretti rispettivamente contro gli impiegati piemontesi e contro i feudatari sardi, non contro la monarchia sabauda: “il popolo sardo non volle udire niente del rivoltarsi contro i suoi legittimi sovrani, e restò loro fedele” (Francesco d’Austria-Este). Il 3 marzo 1799 arrivarono a Cagliari il nuovo Re Carlo Emanuele IV (salito al trono nel 1796), la famiglia reale e l’intera corte sabauda, costretta a lasciare Torino a seguito dell’invasione francese del 1798. Il secolo si chiuse con la morte dell’erede al trono e ultimo rampollo del ramo principale dei Savoia, il piccolo Carlo Emanuele, sepolto nella cripta della Cattedrale di Cagliari nell’agosto 1799. Alla vigilia del nuovo secolo, la Sardegna poteva dirsi definitivamente reinserita nel flusso della storia d’Italia.
Luca Cancelliere