Roma, 5 mar – Assai comune è oggi l’identificazione del Carnevale cristiano con un’antichissima e popolarissima festa religiosa di Roma antica, i cosiddetti Saturnalia, ossia «feste in onore di Saturno». La loro origine era talmente remota che Macrobio, scrittore pagano del V secolo, li definiva vetustiora urbe Roma, «più antichi della città di Roma»: la notizia è dubbia ma testimonia, se non altro, che erano sentiti come una festività preistorica. Sicuramente in origine doveva trattarsi di una festa privata di carattere agricolo, collegata al ciclo della seminagione; la loro trasformazione in feste pubbliche dovette avvenire in epoca repubblicana, alla fine del III secolo se non più tardi.
A favore dell’identificazione depone anzitutto la coincidenza dei tempi astronomici delle due feste, ancorché non perfetta: i Saturnalia, almeno nella forma definita in epoca domizianea (seconda metà del I secolo d.C.), si svolgevano in prossimità del solstizio d’inverno, dal 17 al 23 dicembre; la festa ‘cristiana’, invece, ha luogo a ridosso della Quaresima. Dunque a livello cronologico sarebbe più esatta, se proprio si volesse individuare un corrispettivo cristiano della festività pagana, l’identificazione dei Saturnalia col Natale, cui peraltro rimanda anche l’usanza di scambiarsi dei doni augurali, come documentano diversi epigrammi di Marziale.
La parte ufficiale della festa consisteva in un solenne sacrificio al tempio di Saturno, dio della mitica età dell’oro, quando gli uomini vivevano felici, nell’abbondanza e in perfetta armonia; seguiva un banchetto pubblico, al termine del quale ci si scambiava, a mo’ del nostro brindisi, il saluto Io, Saturnalia! Vi erano poi i banchetti privati nelle singole abitazioni, caratterizzati dall’abbondanza e soprattutto dalla licenziosità: non era raro che i pasti degenerassero in grandi orge; ci si poteva abbandonare, inoltre, al gioco dei dadi, proibito al di fuori di quei giorni.
Ad avvicinare la festa pagana a quella cristiana è, più di ogni altra cosa, il carattere per così dire ‘sovversivo’ proprio di entrambe: nei Saturnalia, per un giorno il padrone si faceva servo e il servo diveniva padrone, vestendo i suoi abiti e sedendo alla sua stessa mensa. Le regole e i rapporti sociali convenzionali si disattivavano e venivano rovesciati, ma il giorno successivo tutto ritornava come prima, perché il capovolgimento aveva senso solo se provvisorio. Un po’ ciò che avviene nel nostro Carnevale, con una importante – forse decisiva – differenza: l’assenza delle maschere (o quantomeno una presenza assolutamente irrisoria), che non rientravano nell’uso antico delle manifestazioni pubbliche, essendo riservate quasi esclusivamente alle rappresentazioni teatrali e a particolari rituali liturgici.
In definitiva, l’identificazione del nostro Carnevale con l’antica festa pagana dei Saturnalia è quantomeno problematica; pur nelle differenze – a volte notevoli – che è possibile rintracciare, le due manifestazioni concordano tuttavia nella rappresentazione di un mondo alla rovescia e nel carattere di licenziosità che è loro proprio: per dirla con un proverbio latino, semel in anno licet insanire («una volta all’anno è lecito far pazzie»).
Giuseppe Scialabba