Roma, 24 mar – «Il suo nome non è conosciuto che da pochissimi amici, e probabilmente, come cose scritte e stampate, di lui non resteranno che tracce insignificanti». Così Evola si esprimeva a riguardo di Guido De Giorgio non sapendo che, alcuni decenni dopo la morte del barone, l’opera del pensatore beneventano sarebbe stata pubblicata e il filosofo noto più che altro per La Tradizione Romana avrebbe conosciuto una «seconda rinascita».
Di recente pubblicazione infatti sono: Dio e il Poeta, (Archè, Milano, 2019), dove De Giorgio riversa l’esperienza mistica derivata dalla sua pratica ascetica, Tradizione e realizzazione spirituali, una raccolta di manoscritti inediti (Cinabro Edizioni, 2018), Studi su Dante. Scritti inediti sulla Divina Commedia (Cinabro Edizioni, 2017), dai quali riemerge l’idea – già espressa ne La Tradizione Romana – per la quale Dante è «poeta di Dio» e la Commedia «poema sacro» che conduce a Dio; Virgilio è «profeta di Cristo» e l’Eneide «poema mistico» che prepara a Dio. Per Guido De Giorgio dunque, nella Commedia vi è tutta la romanità tradizionale, dove le due tradizioni unificate culminano in una sola ed unica Roma, «non più antica e nuova, ma eterna»; Aforismi e poesie (Archè, Milano, 2014), Ciò che mormora il vento del Gargano… (Archè, Milano, 1999), opera consacrata al racconto del viaggio fatto, in un giorno di Natale nei primi anni cinquanta, dall’autore per incontrare padre Pio da Pietrelcina e il volume non ancora tradotto in italiano L’ instant et l’eternité et autres textes sur la tradition. La fonction de l’école. Extraits du Journal de Havis De Giorgio (Archè, Milano, 2009). Non ancora disponibile il libro La Repubblica dei cialtroni violento pamphlet, dal titolo provocatorio, contro il regime democratico sorto dopo la liberazione scritto dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
Guido Lupo Maria De Giorgio nasce il 3 ottobre 1890 a San Lupo nella provincia di Benevento. Figlio di un notaio, studia filosofia a Napoli dove si diploma a 20 anni presentando una tesi su un soggetto “orientalista”. Successivamente emigra in Tunisia dove lavora come professore di liceo e nello stesso periodo ha dei contatti con rappresentanti dell’esoterismo islamico, contatti che lasceranno in lui una impronta incancellabile. Nel 1915 De Giorgio rientra in Italia stabilendosi a Varazze sulla Riviera. Dopo la prima guerra mondiale soggiorna per qualche tempo a Parigi dove conosce René Guènon col quale instaura un duraturo rapporto di amicizia e di collaborazione (scrisse infatti su Le voile d’Isis e L’initiation) fondato su un’ampia e profonda intesa. Ritornato in Italia, Guido De Giorgio fa la conoscenza di Julius Evola, probabilmente per mezzo dell’intermediazione di Reghini o Guénon stesso, che lo definì come «una specie di iniziato allo stato selvaggio». Collabora dapprima con Ur (1928) e successivamente alla più effimera rivista La Torre (1930) e Diorama filosofico (1939-1942), con lo pseudonimo di “Havismat” fondata da Evola, dove fu, a dire di quest’ultimo “uno degli ispiratori” e “l’animatore invisibile”.
L’opera più conosciuta, come detto, è La Tradizione Romana, il cui titolo originale, L’emblema fulgurale della potenza. Introduzione alla dottrina del Sacro Fascismo Romano, fu offerta in forma di dattiloscritto a Benito Mussolini nel Natale del 1939. Il libro rappresenta l’opera più organica e di ampio respiro, che però rimase dispersa e sconosciuta – forse in un’unica copia dattiloscritta – sino al 1973 – quando venne stampata per la prima volta (Flamen, Milano) in un’edizione a tiratura limitata. Il libro è molto di più di quel che il titolo non indichi. Per prima cosa non è un libro di storia, come si intende comunemente; si tratta invece, secondo le parole del suo autore, di «una introduzione alla dottrina della tradizione romana», vale a dire della tradizione universale. Roma, infatti, incarna il luogo fisico e metafisico dell’incontro tra le due maggiori correnti spirituali antiche: il paganesimo dell’Occidente e il cristianesimo dell’Oriente. Nel saggio di Guido De Giorgio, quindi, dopo una descrizione del «ciclo divino», dopo la spiegazione dello «spirito sacro della romanità» si presenta nel suo aspetto originale propositivo: l’esposizione delle «linee generali di una società costituita secondo le norme di una Tradizione veramente tale», basata sull’«armonia tra Contemplazione e Azione». Attraverso una rettificazione che vada «dall’interno all’esterno», sarà possibile la restaurazione dello spirito di Roma, riprendendo il pensiero e l’aspirazione dell’ideale di Dante. Grazie al recupero di «simboli antichi» ciò potrà essere attuabile anche in un mondo dove il numero e la scienza positiva siano apparentemente dominanti. Uno di questi simboli è il Giano bifronte, immagine della Romanità intesa come «principio comune» e potere unificatore di due tradizioni ricondotte alla loro precisa «distinzione».
La società tradizionale, pertanto, ritrova la sua attualizzazione nel fascismo, inteso come momento spirituale di pura luce, giustizia, verità e potenza rappresentata dal fascio littorio su cui si innesta l’ascia bipenne, simbolo della romanità antica e del suo imperium. De Giorgio vede nel regime mussoliniano un’azione riordinatrice nei confronti della decadenza del mondo moderno, da non intendersi unicamente dal punto di vista pratico, politico e sociale, quindi esteriore, ma anche e soprattutto da quello interiore, dove l’uomo moderno ha perso ogni senso del suo essere sé stesso, creatura di Dio.
Il figlio di De Giorgio, Havis, (1914-1939)) è stato un militare italiano, medaglia d’oro al valor militare. Nato in Tunisia, si iscrisse alla Facoltà di Lettere dell’Università di Torino. Interruppe gli studi al secondo anno per arruolarsi come camicia nera semplice nella 104ª sezione Camicie Nere della 4ª Divisione CC.NN. “3 gennaio”. Tra il 9 novembre 1935 ed il marzo 1936 rimaneva in zona d’operazioni, lasciandola in seguito all’ammissione al corso allievi ufficiali di complemento di Saganèiti
Ottenuta la nomina a sottotenente di complemento degli alpini il 25 giugno 1936, fu assegnato al battaglione “Saluzzo” dell’11º reggimento. Quando questa unità fu rimpatriata, fece richiesta con successo di rimanere in Africa e fu aggregato al Regio Corpo Truppe Coloniali, II Battaglione Eritreo “Hidalgo” della 9ª Brigata coloniale. Rimase in servizio con questo reparto per oltre due anni, effettuando numerose azioni di polizia nella regione del Gimma meridionale, nei pressi del Lago Margherita (oggi Lago Abaja) e del Lago Ruspoli (oggi Lago Ciamò). Nel 1941 l’Università di Torino gli ha conferito la Laurea in Lettere “ad Honorem” alla memoria.
Alla sua memoria è inoltre dedicato l’omonimo rifugio alpino (m. 1761) situato nei pressi delle sorgenti del fiume Ellero in una conca sormontata dalla punta omonima e dalle Rocche del Pis (Cuneo), contrafforti della Cima delle Saline.
Guido De Giorgio, dal temperamento scontroso e solitario, è morto per cause naturali il 27 dicembre del 1957 a Mondovì nella solitudine delle montagne piemontesi.
Franco Brogioli
1 commento
[…] Fonte clicca qui […]