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Sfregio alla Foiba di Basovizza: la necessità di una memoria attiva

by Sergio Filacchioni
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Basovizza

Roma, 8 feb – Ci ritroviamo nuovamente a dover commentare un atto di vandalismo politico ed ideologico di matrice antifascista: alla Foiba di Basovizza stamattina sono “apparse” tre scritte in lingua slava, una delle quali è “Trst je nas” (Trieste è nostra) e un’altra “Trieste è un pozzo“. Firmate “161“, codice numerico per l’acronimo internazionale AFA (Anti-Fascist Action).

Sfregio alla Foiba di Basovizza

L’atto si inserisce a pieno nella collezione di sfregi, imbrattamenti e danneggiamenti che periodicamente le sigle antifasciste italiane ed europee rivolgono contro i “simboli” di una memoria inconciliabile con la loro di-visione del mondo in buoni e cattivi: la distruzione della tomba di Jean-Marie Le Pen per esempio, oppure i continui attacchi a targhe e steli in ricordo di Norma Cossetto, i vandalismi contro i luoghi che custodiscono la memoria dei giovani della destra radicale assassinati durante gli anni di piombo. Questi ultimi, portati avanti anche dalle istituzioni in effetti, come abbiamo visto poco prima del 7 gennaio quando funzionari di polizia del Comune di Roma hanno divelto la targa per Stefano Recchioni, su mandato del Pd locale. Insomma, la sinistra più o meno radicale ha la passione per il vilipendio di cadavere e il vizio dello sciacallaggio. Non da ieri, a dire il vero.

Una “pacificazione” sempre più lontana

Gli atti vandalici perpetrati la scorsa notte, sono una grave offesa ai Martiri delle foibe – dichiara Silvano Olmi, presidente nazionale del Comitato 10 Febbraioi soliti ignoti hanno vergato frasi deliranti e provocatorie sul Monumento Nazionale di Basovizza. La pacificazione passa anche attraverso il rispetto dei morti, ma gli jugonostalgici, quando si avvicina il Giorno del Ricordo entrano in azione con atti vera e propria criminalità“. Una “pacificazione” che però sembra sempre più lontana dagli orizzonti della sinistra, radicale ed istituzionale. Non che abbiano mai avuto tale ambizione in effetti. Una “pacificazione” che seppur bellissima speranza e nobile obiettivo da perseguire, sembra essere utilizzata dalla sinistra come una finestra aperta sulla delegittimizzazione del Giorno del Ricordo, per puntellarlo qua e là con pericolose versioni anti-italiane: chi vedeva nella stretta di mano, avvenuta nel 2020 tra il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il suo omologo sloveno davanti alle tombe dei terroristi del TIGR (Revolucionarna organizacija Julijske krajine T.I.G.R.), un segnale di distensione ha preso un grosso abbaglio. Celebrare il Giorno del Ricordo non significa dover tributare onore a partigiani, terroristi e criminali comunisti.

Un pacificazione non reciproca

Sembra inutile dirlo, ma lo ripetiamo: nella storia, l‘unica cosa su cui ci può essere intesa è che su alcune cose non ci può essere intesa. Sembra un ossimoro, ma il punto è uno soltanto. I “gesti cavallereschi” di rispetto verso il nemico o hanno una solida base di reciprocità, oppure somigliano molto alla mortificazione (e mistificazione) della propria identità e del proprio orgoglio nazionale davanti a quello di altri, o peggio davanti a quello di chi non crede in patrie, nazioni e confini. Assimilare al discorso sulle Foibe la narrazione “giustificazionista” del sedicente “irredentismo Jugoslavo” o del revanscismo anti-italiano, vuol dire fare delle grandi deviazioni sul percorso intrapreso nel 2004 con la Legge 92/2004 che ha istituito il Giorno del Ricordo. Prima la Medaglia d’Oro al Maresciallo Tito, poi il tributo del sindaco di Trieste e della più alta carica dello stato ai terroristi del Tigr, poi l’inserimento nei viaggi del Ricordo della narrazione filo-iugoslava. Si finisce per dare legittimità ai distruttori di tombe e agli apologeti del massacro.

Per una memoria attiva

Dobbiamo mettere in campo ogni strumento a nostra disposizione per fare della memoria un momento non solo retorico, ma attivo e militante. Formarsi, trasmettere e partecipare alle iniziative sui territori significa fare fronte alle innumerevoli iniziative scolastiche, politiche, giornalistiche ed editoriali che ogni anno tentano di soprassedere o addirittura stendere un velo di negazione sugli eccidi delle Foibe, sull’esodo giuliano-dalmata e la marginalizzazione degli esuli nel dopo guerra. Un impegno che porterà per forza allo scontro aperto con l’Anpi, presidi, pseudo-scienziati, giornalisti o rettori. La memoria va onorata fisicamente: senza paura degli apologeti di Tito, dei distruttori di monumenti e degli agenti culturali della sinistra radicale. Un impegno che si alimenta del coraggio di chi morì, e volle restare italiano perché italiano era nato.

Sergio Filacchioni

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