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Sovversivi, sì, ma italiani: così Mussolini cercò di salvare Sacco e Vanzetti

by La Redazione
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Mussolini sovversiviRoma, 5 giu – Ce lo siamo chiesti tutti, vedendo la Farnesina fare i salti mortali per liberare qualche cooperante andata in Siria con l’atteggiamento da scampagnata e finita in qualche prigione di tagliagole: ma stavolta non potevamo farci gli affari nostri? La risposta, ovviamente, è no, ma questo genere di interrogativi rendono bene l’idea del dilemma politico e ideologico attraversato dai vertici dell‘Italia fascista di fronte al caso di Sacco e Vanzetti, di cui ad agosto ricorreranno i 90 anni. Un regime famoso per il pugno duro con i sovversivi che si trova a dover lottare per la liberazione di due anarchici.

Sul reale interessamento di Mussolini a questo clamoroso caso di malagiustizia made in Usa c’è da tempo un dibattito: i più sostengono che Roma non fece granché per far evitare la sedia elettrica ai due connazionali, ma documenti inediti sembrerebbero ribaltare la vulgata. Sono quelli presentati nel saggio di Philip V. Cannistraro e Lorenzo Tibaldo, Mussolini e il caso Sacco-Vanzetti (Claudiana). Ma prima facciamo un passo indietro. È il 15 aprile 1920, due ladri fanno irruzione alla Slater-Morrill Shoe Company, un calzaturificio situato a Braintree, un sobborgo di Boston. La rapina finisce male: il cassiere della ditta, Frederick Parmenter, e una guardia di sicurezza, l’italoamericano Alessandro Berardelli,vengono uccisi. La polizia crede di aver trovato i colpevoli qualche settimana dopo: sono due immigrati, già in carcere perché trovati in possesso di una rivoltella. Sono il foggiano Nicola Sacco e il cuneese Bartolomeo Vanzetti. Si tratta dei colpevoli perfetti: intanto appartengono alla minoranza che, dopo gli afroamericani, è più discriminata negli Usa, gli italiani, e poi sono due anarchici. Siamo in piena Red Scare, la “paura rossa” che porta a un’ondata di anticomunismo in tutto il Paese.  Il ritorno dai reduci della Grande Guerra, inoltre, causa un’impennata della criminalità. Lo Stato del Massachusetts non può mostrarsi lassista, qualcuno deve pagare. Qualcosa, però, non quadra nell’edificio indiziario contro i due imputati. Ben presto, un’ondata di proteste contro quella che sembra una persecuzione giudiziaria attraversa il mondo intero. Mentre l’iter processuale procede stancamente, tuttavia, in Italia il fascismo sale al potere.

Quando, nel 1922, Mussolini diventa presidente del Consiglio, trova un lavoro diplomatico di un anno e mezzo già avviato dai precedenti governi. Il quadro, però, è complesso. Cannistraro e Tibaldo mettono bene in luce due punti. Il primo è legato alle simpatie di Mussolini per l’anarchia. Anche da giovane, il suo socialismo era sempre stato venato di spirito bakuniniano, aveva tradotto Kropotkin e letto Stirner. Per Errico Malatesta, il capo degli anarchici italiani, aveva sempre conservato stima, anche da fascista. Secondo gli autori, tutto ciò non fu ininfluente nel determinare l’impegno mussoliniano in favore di Sacco e Vanzetti. Scrive Cannistraro: “Da sola, la ragion di stato non basta a spiegare perché Mussolini, anche mentre usava la mano pesante sugli anarchici in Italia, mise a dura prova la sua credibilità ideologica di fascista e a grave rischio il suo prestigio facendo appelli personali a favore di Sacco e Vanzetti. L’evidenza suggerisce che nella sua psiche fosse radicata una nostalgia duratura, per quanto perversa, per quelli che egli considerava i suoi impulsi anarchici giovanili”.

L’altro corno della questione è meno romantico e riguarda i rapporti tra Italia fascista e Usa. A Mussolini serviva un partner internazionale che accreditasse l’Italia come potenza emergente. Inghilterra e Francia ci avevano già escluso dal tavolo dei grandi a Versailles, con l’America si pensava potesse andare meglio. Tanto più che gli americani guardavano con un certo interesse al fascismo: ancora nel 1933, il documentario Mussolini Speaks otterrà incassi record. Ma c’era anche un altro dato sul tavolo: i debiti di guerra. Il primo conflitto mondiale aveva sancito l’entrata in scena degli Usa come potenza dominante, anche finanziariamente. Proprio negli anni ’20, Roma era impegnata in una difficile trattativa per ottenere condizioni favorevoli dai creditori americani. La cosa non poteva non riflettersi sul caso Sacco-Vanzetti, come riconoscerà lo stesso Duce qualche anno dopo, parlando con Yvon de Begnac: “Non sono più il capo di governo che, tra il 1925 e il 1927, doveva limitarsi a reclamare la salvezza di Sacco e Vanzetti. Non ho più creditori americani che impongono l’esaudimento dei loro voleri”. Nonostante questi limiti oggettivi, l’azione mussoliniana in favore dei due connazionali fu intensa e costante negli anni. Le continue pressioni sulle autorità Usa documentate nel saggio lo dimostrano. Un grande problema, però, erano le manifestazioni anarchiche per i due detenuti, che politicizzavano la questione e irritavano le autorità americane. Proteste non solo pacifiche: il 16 settembre 1920 una bomba anarchica esplose a Wall Street provocando 33 morti e 200 feriti. Roba da far invidia all’Isis.

In questo contesto, Mussolini si muoveva come poteva. “Non credo che grazia significherebbe trionfo sovversivi mentre è ormai sicuro che esecuzione Sacco-Vanzetti darebbe motivo a vasta e continua agitazione sovversiva in tutto il mondo”, scriveva il leader italiano in un telegramma al governatore del Massachusetts datato 23 luglio 1927. Ma fu tutto inutile: il 23 agosto 1927, alle ore 00:19, dopo sette anni di udienze, “Nick e Bart” morivano sulla sedia elettrica a distanza di sette minuti l’uno dall’altro, con la sola colpa, probabilmente, di essere italiani.

Adriano Scianca

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Saverio Gpallav 12 Settembre 2018 - 12:37

probabilmente, oltre e prima dei motivi illustrati nell’articolo, Mussolini fu mosso anche da un senso di giustizia verso i propri connazionali innocenti che prescindeva dall’avversione ideologica degli anarchici nei confronti del suo regime. L’atteggiamento di Mussolini verso molti dei suoi avversari non fu mai disgiunto da un certo tentativo di conciliazione pur nell’arbitrio di uno Stato solo parzialmente di diritto come è inevitabilmente una dittatura

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