Ad evocare la minacciosa figura del «supermusulmano» è la teofobia genetica degli stati nazionali di matrice occidentale che poco a poco hanno estromesso Dio dalla scena pubblica. «L’imperativo del supermusulmano non è: “Diventa!”, ma: “Torna a essere!”, perché per lui il Bene ha già avuto luogo e la promessa è stata realizzata». Il supermusulmano è colui il quale «pretende di confondersi con il suo presunto creatore», per questo motivo può sentirsi legittimato ad agire in suo nome e sopratutto al suo posto, condannando se stesso e gli altri a un inferno nell’al di qua. La strage diventa così simbolo reale, del giudizio plastico di Allah, che tramite il «supermusulmano» si abbatte su infedeli, miscredenti e atei. Ad essere affascinati e sedotti dall’islamismo sono, secondo Benslama, sopratutto in Occidente, musulmani senza radici, ragazzi tra i 15 e 25 anni, cresciuti da musulmani ormai secolarizzati, che nell’islamismo ritrovano l’identità perduta, individui privi di mezzi materiali e intellettuali che nell’incontro con l’islam radicale si realizzano. Atomi impazziti insomma che trovano un centro di gravità permanente in Allah e non è detto neanche che abbiano una buona conoscenza del Corano o della teologia islamica.
L’islamismo inoltre, secondo l’autore non è assimilabile a nessuna teologia-politica prodotta dall’Occidente perché è il tentativo della religione di inglobare fino a farla scomparire la politica. Il pamphlet di Benslama è un’inedita analisi psico-politica dell’origine del terrore, molto utile per comprendere la radice inconscia che arma i figli di Allah cresciuti nelle Bengodi del consumismo.
Fabrizio Grasso
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