C’è sua maestà Kurt Russell – il Boia – feroce e guardingo cacciatore di taglie, incatenato alla sua preda. Jennifer Jason Leigh, appunto, la prigioniera trascinata letteralmente alla forca, portatrice di segreti e punchball, professionista nell’arte di “incassare”. C’è Samuel Jackson, bounty hunter di professione, ex-maggiore dell’esercito nordista ed “odiatore” di bianchi confederati per passione. Walton Goggins, forse il nuovo sceriffo di Red Rock. Demian Bichir, il messicano, tutto mistero sotto il sombrero. Tim Roth – o forse è Christoph Waltz/Hans Landa? – il piccolo uomo con l’accento british. Michael Madsen, il solitario cowboy alle prese con la storia della sua vita, e Bruce Dern, generale confederato, “eroe di guerra” e quindi “boia sanguinario”. Niente e nessuno è però come sembra, e in verità vi dico che uno di loro tradirà.
“Otto poveri negretti se ne vanno a passeggiar: uno, ahimè, è rimasto indietro, solo sette ne restar.”
Sette, o meglio settanta. I millimetri della pellicola utilizzata per le riprese. Capace di raddoppiare, quasi triplicare, la linea dell’orizzonte, riportando sul grande schermo i campi lunghissimi dell’innevato e “tormentato” Wyoming. Merita – a prescindere dalla passione per Tarantino – di goderne seduti in sala.
“Sette poveri negretti legna andarono a spaccar: un di lor s’infranse a mezzo, e sei soli ne restar”
Sei, come gli anni trascorsi nel film dalla fine della Guerra Civile: troppo pochi per placare l’astio di chi sul campo di battaglia – da entrambe le parti – si è battuto per difendere il proprio mondo; e di certo, come nel caso dei protagonisti, insufficienti per condividerne un tetto. Si potrebbe obiettare – e bacchettare – il regista sul fatto che sei (più sei e più…) sono le decadi trascorse da quel conflitto, per cui un certo slang black–ish suona un po’ stonato. Ma lo sappiamo, Tarantino e i suoi film parlano così. E ancora, bacchettando, che i tratti politicamente corretti di questo “sceneggiato” fanno perdere d’acquolina le bocca fameliche di chi con Tarantino c’è cresciuto. Fortunatamente, voltato l’angolo di quei tipici flashback e nei meandri dei sei capitoli che compongono la pellicola, si ritrovano quei dialoghi “alla Tarantino” – quelli de Le Iene o di Pulp Fiction – capaci di far tornare a grondar saliva agli avventori del saloon. Provare per credere il racconto dell’incontro tra il maggiore Marquis e la prole del generale Smithers.
“I sei poveri negretti giocan con un alvear: da una vespa uno fu punto, solo cinque ne restar.”
“Cinque poveri negretti un giudizio han da sbrigar: un lo ferma il tribunale, quattro soli ne restar.”
Due volte quattro. Quarantaquattro, i milioni di budget per la produzione. Pochi rispetto al centone sganciato per Django Unchained oppure ai 70 di Inglorious Basterds. Quasi ai livelli del rinnegato Grindhouse e di Kill Bill. Non che fosse necessario tirarne fuori un nichelino di più: c’è un tentativo di scarnificazione, nel selvaggio e variopinto West cinematografico del nuovo millennio – si veda Slow West o Bone Tomahawk, ad esempio – che non richiede particolari investimenti. E d’altronde, a volte, per partorire un capolavoro basta un po’ di fumo, un gilet d’acciaio e fissare bene negli occhi Ramon prima di sparargli. Sergio Leone docet.
“Quattro poveri negretti salpan verso l’alto mar: uno un granchio se lo prende, e tre soli ne restar”
Unite a questi i Dieci Piccoli Indiani di Agatha Christie e, ça va sans dire, Sergio Leone e avrete un quadro completo del mealstrom di riferimento.
“I tre poveri negretti allo zoo vollero andar: uno l’orso ne abbrancò, e due soli ne restar.”
Due di tre? Il secondo di una trilogia western? E’ poco probabile proprio perché annunciato. Ciò che invece rileva è che sia il secondo film di Tarantino senza il supporto fondamentale di Sally Menke, editor e amica, deceduta nel 2010. Da quel momento la carovana tarantiniana in viaggio tra i generi ha smesso di essere cinema di frontiera e viaggio in territori inesplorati, per preferire percorsi e strade già battute. Come ha scritto qualcuno: “In The Hateful Eight Tarantino rimastica Tarantino e sputa fuori Tarantino”. Ci sono tutti i suoi classici lì, in quella locanda, dove gli otto – coscienti o meno – si son dati appuntamento.
“I due poveri negretti stanno al sole per un po’: un si fuse come cera e uno solo ne restò.”
Ed alla fine tutto conduce lì, in quell’unica, piccola baita sulla strada per Red Rock. La merceria di Minnie e Sweet Dave. Costretti da una tormenta ad una breve e forzata convivenza, sarà quello il palcoscenico per la resa dei conti dei nostri otto. L’inferno bianco dell’uomo nero. Niente eroi in The Hateful Eight, soltanto “figli di puttana”, come racconta lo stesso Tarantino: “volevo fare un film interpretato solo da quei personaggi. Nessun eroe, solo un gruppo di motherfucker in una stanza, a raccontare vecchie storie verofalse. Ho pensato di chiuderli in una stanza con una bufera di neve fuori, di dare loro pistole e proiettili, e vedere cosa sarebbe successo”. E quello che è successo è ormai sotto gli occhi di (quasi) tutti: era il 1964 e Sergio Leone consacrava la nascita dello “Spaghetti western”…oggi, nell’inverno a cavallo tra il 2015 ed il 2016 – a tre anni esatti dall’uscita di Django Unchained – si consacra la nascita del “Tarantino western”.
“Solo, il povero negretto in un bosco se ne andò: ad un pino si impiccò, e nessuno ne restò.”
Davide Trovato
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