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Immigrati molesti al concertone: la realtà che rompe gli slogan femministi

by Sergio Filacchioni
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Roma, 2 mag – Il “concertone” del Primo Maggio, storicamente celebrato come la festa della sinistra, del lavoro, dei diritti e del pensiero progressista, si è trasformato in un teatro di degrado e violenza. Una ragazza di 25 anni, originaria della Campania, è stata aggredita sessualmente in pieno giorno, mentre era in fila con un’amica per accedere all’area riservata dell’evento.

Violenza e degrado al concertone

Tre uomini tunisini, senza fissa dimora, l’hanno afferrata e palpeggiata. Grazie alla reazione della vittima e della sua amica, e all’intervento della polizia in borghese, i tre — due 24enni e un 22enne — sono stati arrestati e giudicati per direttissima. Ma c’è di più. La vicenda non è solo l’ennesimo episodio di insicurezza e degrado legato all’immigrazione irregolare: è l’ennesima smentita vivente delle narrazioni che animano la lotta del femminismo contro il patriarcato e il maschio sempre colpevole. Tra canzoni-slogan come Dead men don’t rape e cori femministi che puntano il dito contro “il patriarcato”, nessuno sembra voler affrontare la realtà: spesso, le violenze arrivano proprio da quelle fasce sociali che il mondo liberal si ostina a difendere acriticamente. Un dato inquietante conferma che non si tratta di episodi isolati. Secondo un recente approfondimento de Il Primato Nazionale, nella fascia d’età tra i 14 e i 34 anni — quella statisticamente più coinvolta nei reati sessuali — il 59% degli autori è straniero. Un dato che smentisce clamorosamente la narrativa dominante, secondo cui il problema sarebbe “strutturale” e insito nella cultura occidentale. Al contrario, emerge una vera e propria emergenza legata alla criminalità d’importazione, favorita da anni di frontiere spalancate e politiche lassiste in materia di immigrazione. E mentre i media mainstream minimizzano o omettono dettagli sull’identità degli aggressori, la realtà parla chiaro — e si manifesta tragicamente, anche nel cuore delle feste “progressiste”. O perfino nei “loro” stessi luoghi d’aggregazione, come successo pochi mesi fa a Trento, quando un’attivista del movimento femminista “Non Una Di Meno” è stata vittima di stupro da parte di un suo compagno (poi grottescamente accusato di fascismo), o nel 2016 a Parma quando una donna è stata vittima di violenza sessuale all’interno di un centro sociale.

I risultati dell’accoglienza senza se e senza ma

Casi che evidenziano le contraddizioni all’interno di certi ambienti. Una su tutte, ovviamente, la sinistra che si batte per “l’accoglienza senza se e senza ma“, per poi ritrovarsi a fare i conti con i risultati concreti delle sue stesse utopie: piazze dove, accanto a bandiere arcobaleno e striscioni contro il maschio bianco occidentale, si muovono indisturbati soggetti irregolari e pericolosi. Non è la prima volta, e c’è da scommetterci che non sarà l’ultima. La giovane donna aggredita è l’ennesima vittima silenziosa di una retorica che, mentre predica inclusione e lotta al patriarcato, si dimostra nei fatti incapace di proteggere le donne reali da chi rappresenta una minaccia concreta. “Sorella non sei sola” varrà anche per lei? E la morte sarà augurata anche ai tunisini e agli immigrati che in tutta Italia e in Europa si macchiano di crimini simili? Del resto, come già scritto una volta proprio qui sul Primato Nazionale, il “patriarcato” non è altro che l’ennesima reincarnazione del pensiero marxista applicato alla guerra dei sessi: un costrutto teorico utile per alimentare divisioni, ma del tutto cieco di fronte alla realtà. Più che scrivere “Dead men don’t rape”, le femministe dovrebbero cominciare a scrivere sui muri Rapefugees not welcome. Solo quando si avrà il coraggio di mettere la realtà prima del fanatismo ideologico, si potrà davvero parlare di sicurezza e dignità per tutte le donne.

Sergio Filacchioni

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