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Uber, accolta la sospensiva. Ma rimane la concorrenza sleale: ecco perché

by La Redazione
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bolkestein taxiRoma, 15 apr – Il 7 aprile scorso il dibattito tra i favorevoli e i contrari all’arrivo nel mercato italiano di Uber sembrava aver trovato soluzione definitiva: il tribunale civile di Roma, dopo il ricorso presentato da alcune associazioni di categoria, aveva infatti ordinato alla multinazionale americana la chiusura definitiva dell’applicazione Uber Black, dopo che anche Uber Pop era stata dichiarata illegale, per motivi di “concorrenza sleale”. In questo modo Uber sembrava costretta a cessare la propria attività in Italia ma a pochi giorni dalla sentenza, in seguito al ricorso in appello, il Tribunale di Roma ha accolto la richiesta della società di trasporti di sospendere l’ordinanza che sanciva la chiusura dell’attività a partire dal 17 aprile.

Tuttavia nella sentenza si legge chiaramente che, prendendo come riferimento la legge quadro disciplinante gli autoservizi pubblici non di linea, i servizi Taxi e Ncc, entrambi subordinati a licenze comunali, devono avere funzione complementare e integrativa ai servizi pubblici di linea (ferroviari, automobilistici, marittimi) e dovendo operare esclusivamente nel comune di appartenenza sono tenuti a rispettare modalità di esercizio diverse tra loro e soprattutto funzionali all’organizzazione da parte degli enti locali di una “visione integrata del trasporto pubblico non di linea con gli altri modi di trasporto, nel quadro della programmazione economica e territoriale”. Questi regolamenti permettono ai Comuni di porre in essere una pianificazione territoriale che tenga conto di diversi fattori che influiscono in numerosi ambiti amministrativi, da quello economico a quello della mobilità, da quello dell’ambiente a quello della sicurezza.

Il servizio taxi è rivolto ad un’utenza indifferenziata, con tariffe e modalità che vengono determinate dai Comuni e stazionano su aree pubbliche. Gli Ncc, ovvero il Noleggio con conducente (sui quali si appoggerebbe Uber Black in Italia) nascono per soddisfare le richieste di un’utenza che vuole una specifica prestazione a tempo o di viaggio con tariffa concordata col vettore e il loro stazionamento è invece previsto all’interno di rimesse. Pare evidente dunque che Uber per le modalità con il quale è concepito favorisca la mescolanza di questi ambiti, creando concorrenza sleale in un mercato che, anche per esigenze di amministrazione, ha bisogno di regolamentazione poiché un numero indefinito di macchine incontrollate che girano su di un territorio cercando di procacciarsi clienti genererebbe inevitabilmente il caos nei settori sopra citati. In questo contesto pareva corretto l’accoglimento da parte del Tribunale di Roma del ricorso dei tassisti che chiedevano il rispetto dei regolamenti vigenti e dei diversi ambiti lavorativi, perché è evidente che un’applicazione come Uber generi confusione, portando gli Ncc aderenti a svolgere una funzione non prevista, ovvero quella di intercettare clientela indifferenziata mentre circolano su pubblica via, settore che secondo le norme è riservato al servizio taxi, con anche l’ulteriore problema che con questo sistema di chiamata tramite un’ applicazione che mette in contatto direttamente clienti e autisti Ncc porta questi ultimi ad operare fuori dal territorio dove hanno ottenuto il rilascio dell’autorizzazione, creando concorrenza sleale non solo nei confronti dei tassisti, ma anche degli stessi Ncc che rispettano i limiti della propria licenza. Ma il tribunale oggi congela il provvedimento, rimandando alla sentenza d’appello l’eventuale blocco defintivo dell’applicazione e permettendo per adesso la continuazione del servizio.

A fianco di Uber si sono schierate alcune associazioni dei Consumatori, che spesso assumono decisioni legate all’ideologia del libero mercato, secondo il quale più concorrenza corrisponderebbe automaticamente a più qualità e minori costi, retorica questa già ampiamente smentita dai fatti anche in numerosi altri settori. Quello che non si capisce più che altro per quale motivo difendere Uber debba voler dire difendere i consumatori: la sentenza del tribunale di Roma infatti pareva andare esattamente nella direzione degli interessi degli utenti, perché definendo bene le differenze tra i vari modelli di trasporto e lasciando agli enti locali la possibilità di calibrare la gestione dei servizi sulla base delle richieste e delle necessità viene fornita all’utenza innanzitutto chiarezza sui servizi a disposizione, completezza di offerta e anche una maggiore razionalità ed efficienza degli stessi nonché la totale trasparenza sulle tariffe, evitando di trasformare il mondo degli autoservizi non di linea in una giungla senza regole né trasparenza. Difendere Uber in questa forma pare un po’ come giustificare i venditori abusivi di merce contraffatta perché costano meno e ampliano l’offerta… Ciò che è stato punito di Uber sono le modalità con le quali opera e la normativa, almeno fino a che non verrà chiarita l’applicazione del criticatissimo decreto cosiddetto “milleproroghe”, pare dare piena ragione alle rivendicazioni dei tassisti.

Saverio Di Giulio

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