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“Un’estate fa” e i ricordi indelebili di Italia ’90

by Roberto Johnny Bresso
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­Roma, 5 nov – Per quelli come me nati negli anni ’70 sono tre le estati indimenticabili a livello collettivo della nazione: quella del 1982, quella del 1990 e quella del 2006. Il 1982 vedeva l’Italia uscire dai turbolenti anni ’70 e, come cantava Sergio Caputo ne Un sabato italiano, il peggio sembrava essere passato. Ma certamente nessuno si aspettava che l’Italia di Enzo Bearzot e di Paolo Rossi, arrivata al Mondiale di Spagna tra mille contestazioni, potesse uscirne trionfatrice. Avevo sette anni e se amo il calcio probabilmente lo devo a quella magica estate. Tutto sembrava possibile, persino un decennio spensierato per la nazione. Nel 2006 invece si arriva al Mondiale tedesco con il calcio italiano in piena Calciopoli, eppure gli Azzurri, come spesso accade quando sono con l’acqua alla gola, danno il meglio di sé e Marcello Lippi ci regala il quarto trionfo iridato, che io ebbi la fortuna di gustarmi dalle gradinate dell’Olympiastadion di Berlino. Eppure probabilmente ciò che ha segnato maggiormente la memoria collettiva non solo italiana ma mondiale è stata l’estate di una sconfitta, a discapito di un successo che pareva annunciato: stiamo parlando delle Notti Magiche di Italia ’90.

“Un’estate fa”, la serie che riporta al mondiale collettivo per eccellenza

Il pretesto per ricordare quei giorni mi è stato dato dalla nuova serie Sky Original Un’estate fa, serie che tra l’altro mi permetto di consigliare vivamente. Mai come in questo caso fare degli spoiler sarebbe un delitto, ma mi basterà dire che per gli standard italiani e non solo trattatasi di un progetto rivoluzionario, che mischia sapientemente il giallo, il dramma e la fantascienza. Sviluppata in otto episodi su due diverse linee narrative temporali (una ai giorni d’oggi e una durante i Mondiali del 1990) sperimenta un flashback che poi flashback non è, in quanto è più una sorta di viaggio nel tempo. Naturalmente il finale, in un prodotto simile, rischiava di deludere ed affossare il giudizio definitivo ed invece è stato assolutamente coerente ed all’altezza della storia proposta. Credetemi, non ne rimarrete delusi.

Tutto ciò per tornare all’argomento dell’articolo: quanto quel Mondiale è rimasto iconico nella memoria di tutti noi. L’Italia, guidata da Azeglio Vicini, arriva alla kermesse iridata con tutti i favori del pronostico: una squadra giovane composta da campioni che giocano in club che dominano in Europa (nel 1990 Milan, Sampdoria e Juventus conquistano tutte le coppe) ed una nazione che arriva da un decennio di crescita economica, benessere ed ottimismo generalizzato diffuso tra la popolazione: tutto sembra apparecchiato perchè gli Azzurri alzino al cielo la coppa. Sì, perchè troviamo anche l’eroe che non ti aspetti, Totò Schillaci da Palermo con i suoi occhi spiritati, che butta in rete ogni palla che gli passi vicino. E invece tutto svanisce nella notte di Napoli contro l’Argentina di Maradona, con Caniggia che sfrutta una sciagurata uscita di Zenga. E poi inizia la maledizione dei rigori, che si ripeterà nel 1994 e nel 1998 e che esorcizzeremo solo nel 2006: torniamo a casa ed il Mondiale lo vincerà la solida Germania Ovest.

Quell’atroce sconfitta (che nei miei occhi di adolescente fece veramente male) segnò probabilmente la fine della Luna di miele dell’Italia con il suo popolo, iniziata appunto con il trionfale Mundial del 1982. Di lì a poco sarebbe scoppiata Tangentopoli e la Seconda Repubblica avrebbe portato via quasi tutti i volti della Prima. E scoprimmo anche che i Mondiali avevano lasciato uno strascico di ruberie, tangenti ed opere incompiute, tutto ovviamente a carico dei contribuenti. E, mentre il resto d’Europa andava verso la costruzione di stadi completamente nuovi, votati al comfort ed alla sicurezza del tifoso, la rassegna iridata ci aveva donato impianti già obsoleti, cattedrali nel deserto ed orrori architettonici che contribuirono ad affossare il calcio italiano, all’epoca produttore del campionato di gran lunga più bello del mondo. Errori che, dopo oltre trent’anni, il nostro calcio sta ancora pagando a caro prezzo.

Uno spartiacque storico, oltre che sportivo

Ma Italia ’90 non cambiò solo le sorti italiane: il Muro di Berlino era da poco caduto e, se pur formalmente vinse la Germania Ovest alla sua ultima apparizione, fu festa in tutta la Germania, Est compreso. Fu anche l’ultimo ballo dell’Unione Sovietica che si andava sgretolando e della Jugoslavia, meravigliosa eterna incompiuta che di lì a poco avrebbe sofferto gli indicibili orrori di una sanguinosa guerra civile. Per la prima volta vedemmo il calcio africano protagonista, grazie ai Leoni indomabili del Camerun di Roger Milla, di cui nessuno sapeva esattamente l’età (probabilmente nemmeno lui stesso) e ci fu il riscatto dell’Inghilterra, arrivata senza nessuna aspettativa e che invece giunse ad un passo dalla finale. Quel risultato diede nuova linfa al football inglese, che proveniva da un decennio di tragedie e di hooliganismo, e che andava trasformandosi in un prodotto sempre più appetibile per le famiglie: a breve sarebbe arrivata la Premier League e la nostra Serie A avrebbe ceduto lo scettro del primato. E dalle parti di Londra si respirava aria nuova dopo i duri anni del thatcherismo: incombeva la Cool Britannia, trascinata anche dal Britpop e da gruppi come gli Oasis ed i Blur.

E poi Italia ’90 ci ha lasciato la mascotte Ciao, che all’epoca parve bruttissima ma che con il tempo è diventata simbolo dello stile italiano, l’inno di Edoardo Bennato e Gianna Nannini composto da Giorgio Moroder, gli scontri tra tifoserie, che in fondo non facevano poi così notizia, e sugli spalti un pubblico vero e non di plastica, come troppo spesso succede oggi. Italia ’90 ci ha lasciato la speranza di una nazione migliore anche nella sconfitta. O magari sono solo i ricordi di un ragazzino sognante.

Roberto Johnny Bresso

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