Roma, 23 set – Ben 12.341 militari, 307 civili di provenienza internazionale, 606 civili locali: in una striscia di terra che vista sulla cartina, da lontano, sembra infinitesimale, il contingente dell’Unifil è davvero imponente.
La United Nations Interim Force in Lebanon, la forza di interposizione delle Nazioni Unite che vigila al confine tra Libano e Israele ha un compito non facile. Compito militare, ma anche diplomatico, politico e culturale.
La missione è nata con la Risoluzione 425 adottata in data 19 marzo 1978 da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, a seguito dell’invasione del Libano da parte di Israele, nel marzo 1978.
Successivamente, l’Onu ha rinnovato varie volte la missione. In particolare si distinguono tre interventi: quello del 1978, appunto, quello del 1982 e quello rinnovato a seguito del conflitto israelo-libanese del 2006.
Il nucleo più numeroso dell’Unifil è italiano, così come italiana è la guida della missione, attualmente affidata al generale di divisione Luciano Portolano. Garantire la pace e mediare fra due parti in causa che, per usare un eufemismo, non hanno ottimi rapporti né dal punto di vista politico né da quello militare, non è affatto facile. E spesso espone a delle critiche.
È il caso della polemica scatenata dai media israeliani nel 2008, in cui fonti di Gerusalemme, citate dal quotidiano Hareetz, accusarono l’Unifil di non riferire al Consiglio di sicurezza dell’Onu le attività di Hezbollah. Per Tel Aviv, i soldati dell’Unifil avrebbero più volte identificato unità armate del “Partito di Dio” senza intervenire e senza riferirlo al Consiglio di sicurezza. La Forza Onu in Libano rispose definendo “senza alcun fondamento e totalmente inaccettabili” le accuse mosse al generale Claudio Graziano, allora a capo della missione.
Di sicuro c’è che chi ha l’arduo compito di fare da mediatore in Libano non può non avere a che fare con Hezbollah, che è un partito e un gruppo militare, ma che di fatto sul territorio è una vera e propria istituzione, con scuole, ospedali, strutture sociali, oltre che ovviamente deputati, sindaci e vari esponenti politici locali.
Le polemiche di questi giorni, con tanto di deliranti articoli sul “fascioislamismo” e voli pindarici che partono dal convegno sul Mediterraneo Solidale e arrivano fino alle camere a gas, suonano molto lontane per chi opera concretamente per la pace sul territorio e sa che dialogare con Hezbollah, in Libano, non è un’opzione, è una necessità.
Anche per l’Unifil, sia pur nella formula macchinosa richiesta dalle necessità diplomatiche e ben spiegata, in un’intervista, da Paolo Serra, il generale di corpo d’armata italiano che ha comandato la forza multinazionale in Libano per 30 mesi, dal gennaio del 2012 al luglio del 2014: “Il Force Commander nella sua opera di mediazione ha anche la funzione di essere il ponte fra i due Paesi che non si possono parlare dato che sono ancora in uno stato di guerra. Quindi una volta al mese suvviene un incontro strutturato, l’incontro tripartito, in cui i rappresentanti militari con il backup politico delle proprie nazioni, vengono a trovarsi in un’aula comune dove con il sostegno di Unifil che dirige l’interazione fra i due Paesi si parla dei problemi di sicurezza, si cercano soluzioni, si cerca di capire perché la controparte abbia effettuato certe scelte. Ma questo è rituale, quando invece succede qualche problema, immediatamente il Force Commander, o per telefono o per videoconferenza, ha la capacità di parlare con entrambi i Paesi. Il F.C. Unifil non parla direttamente con Hezbollah, perché non è un suo interlocutore, essendo un partito politico che da altre parti è anche visto diversamente. Abbiamo lo Special Envoy delle Nazioni Unite che per mandato deve parlare con tutti i partiti, quindi il Force Commander tramite lo Special Envoy può raccogliere quelli che sono i messaggi di altri che non sono le istituzioni con le quali lui si confronta. Se viene richiesto di passare questi messaggi, questi vengono trasmessi”.
Quanto a loro, i libanesi del “Partito di Dio” vedono decisamente di buon occhio la forza Onu, in particolar modo gli italiani. Ha spiegato qualche tempo fa a Panorama Sayyed Ammar Al-Mussawi, responsabile per le relazioni estere di Hezbollah e partecipante al convegno di sabato a Roma: “Noi consideriamo molto importante la presenza dell’Unifil e anche la popolazione civile accoglie con grande positività la presenza dei militari. La decisione degli Europei di inserire l’ala militare di Hezbollah tra le organizzazioni terroristiche non muta la nostra volontà di collaborare con i militari impegnati nel Sud del Libano perché sappiamo che questa è stata una decisione voluta da altri, Stati Uniti e Israele. Tutti sanno che Hezbollah non ha nessuna attività militare nel territorio europeo, e l’Europa non trae nessun vantaggio da questa decisione”.
La via del dialogo è stretta, ma esiste. Nonostante i buoni di professione che soffiano sul fuoco e cercano di sabotare chi, con la sola arma del volontariato e della cultura, cerca di creare ponti.
Adriano Scianca
Unifil: quei soldati italiani che in Libano cercano il dialogo (con tutti)
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