Roma, 19 giu – A poco più di un anno dall’uscita di Doromizu, Mario Vattani torna nella sua veste di scrittore con La Via del Sol Levante (Idrovolante Edizioni, 226 pagg, 15 €). Protagonista ancora una volta il Giappone ma in una maniera molto diversa rispetto al primo lavoro del poliedrico artista diplomatico. Questa volta niente “acque torbide” e loschi underground tra yakuza e pornografia nella Tokyo moderna, metropolitana e un po’ “decadente” in cui si può comunque trovare l’anima più pura dell’Impero nipponico. Inoltre La Via del Sol Levante non è neanche un romanzo vero e proprio. Inizia come la storia di un viaggio in moto, compiuto e raccontato in prima persona dallo stesso Vattani, nell’anima più vecchia e tradizionale del “vecchio” Giappone, alla ricerca dello spirito testimoniato da Yukio Mishima e dai simulacri degli ultimi samurai.
Il bisogno della scoperta dello Yamato più profondo e antico, sentito da Vattani come “lo spirito” da cercare il più lontano possibile dall’Italia, avvertita come “materia” che ingabbia e lega e da cui fuggire senza esitazione, lo porterà però a un incrocio imprevisto. Alla ricerca del cimitero dei giovani samurai del Byakkotai, il corpo della Tigre Bianca che durante la guerra civile per la restaurazione Meiji combatté per la difesa del bushido e della casta guerriera fino all’estremo sacrificio di fronte alla sconfitta, Vattani si imbatte in qualcosa di impensabile: nel luogo del suicidio rituale eseguito dai giovani guerrieri sorge una colonna romana, sormontata da un’Aquila Romana, con iscritta una dedica allo spirito del bushido fatta inviare direttamente da Mussolini alla fine degli anni Venti. Com’è possibile che una colonna romana possa essere arrivata in Giappone? E come è possibile che la storia del Byakkotai possa essere arrivata fino a Roma?
Da questo incontro inaspettato inizia il “vero” viaggio. Che come ogni viaggio interiore non è lineare, né nello spazio né nel tempo, ma ha arresti e riprese inaspettate dettate da coincidenze e incontri casuali – ben sapendo che il caso non esiste mai – e che tra tappe, ricordi, flussi di coscienza e aneddoti porta alla scoperta del legame profondo e sacro che da un secolo e mezzo lega proprio Italia e Giappone. Due nazioni sorelle, due popoli fratelli, entrambi con una storia millenaria, con radici spirituali che hanno creato civiltà per secoli ma che tra mille difficoltà si ritrovano ad affacciarsi in ritardo nel mondo moderno, negli anni ’60-’70 del XIX secolo. Potenze giovani, dinamiche e “proletarie” che vogliono conquistare il loro spazio tra i grandi colossi che non ammettono nuovi rivali e che per questo si lanceranno in un percorso parallelo di crescita, rivoluzione, modernizzazione repentina e avanguardista pur mantenendo intatto e anzi rinnovando il proprio cuore spirituale che le vedrà sempre una indissolubilmente legata all’altra fino a intrecciare in maniera saldissima i loro destini.
E così il viaggio in moto, attraversando la storia della colonna romana in onore del Byakkotai, il viaggio delle navi italiane costruite per far trionfare i Giapponesi a Tsushima contro la marina zarista, le gesta di Harukichi Shimoi, arruolatosi negli Arditi e poi volontario a Fiume con D’Annunzio, la trasvolata di Arturo Ferrarin tra Roma e Tokyo, fino alla grande avventura dei sommergibilisti del Cappellini porterà sì ai luoghi più ancestrali del Giappone ma non per allontanarsi dalla “materia” Italia, bensì per riscoprire la “spirituale” ed eroica Italia, come il più classico dei percorsi alchemici in cui il punto di arrivo non è altro che il punto di partenza.
Carlomanno Adinolfi