Per quanto riguarda gli aspetti demografici, “con 3.2 matrimoni ogni mille abitanti, lāItalia rimane uno dei paesi dell’Ue28 in cui ci si sposa meno” e continua a diminuire il numero medio di figli per donna che “nel 2014 – si legge – si attesta a 1.37 mentre occorrerebbero circa 2,1 figli per garantire il ricambio generazionale“. Prospettive non interessanti anche per i nuovi nati: “Secondo le prime stime relative al 2015 – continua il rapporto – per la prima volta negli ultimi 10 anni la speranza di vita alla nascita arretra, con un decremento di 0.2 punti per gli uomini (80.1) e 0.3 per le donne (84.7)”.
In merito agli indicatori economici, le famiglie risultano tutto sommato in salute anche se la povertĆ rimane un problema non da sottovalutare: “Tra il 2013 e il 2014 l’incidenza della povertĆ – relativa e assoluta – ĆØ risultata sostanzialmente stabile. La povertĆ relativa coinvolge circa un decimo delle famiglie residenti, quella assoluta il 5.7%“.
Peggio va per il lavoro, nonostante qualche discreto segnale di miglioramento registrato nel 2015 ma giĆ vanificato nei primi mesi del nuovo anno. E’ vero che “nel 2015 risultano occupate oltre 6 persone in etĆ 20-64 anni su 10”, ma l’Italia, spiega l’Istat, si colloca ai margini delle classifiche: “Nella graduatoria europea relativa al 2014, solamente Grecia, Croazia e Spagna presentano tassi di occupazione inferiori a quello italiano”. Non va meglio per la disoccupazione, che ha sƬ guadagnato qualche punto (poi riperso nuovamente) ma “rimangono forti le differenze territoriali, con un tasso nel Mezzogiorno di poco inferiore al 20%”. Analogo discorso per la piaga della disoccupazione giovanile, che nelle zone del Sud registra numeri da fallimento dello Stato: “il livello massimo si registra nel Mezzogiorno (54,1%), soprattutto in Calabria, dove arriva al 65,1% e fra le ragazze (58,1%)”, illustrano sempre i tecnici Istat.
Relativamente all’industria, “la crisi economica si ĆØ riflessa in un calo del numero delle imprese”, calo compensato (anche se non a sufficienza) dall’elevato tasso di imprenditorialitĆ che con il 30.2% “risulta secondo solo a quello della Grecia fra i paesi dellāUnione europea”. Sul medio termine, tuttavia, le previsioni non offrono niente di buono, se ĆØ vero che “dopo il recupero del biennio 2010-2011, nel 2013 prosegue la perdita di competitivitĆ delle imprese italiane, con 122,9 euro di valore aggiunto ogni 100 euro di costo del lavoro (124,6 nel 2012). Le regioni del Nordovest mostrano i livelli di competitivitĆ più elevati, mentre il Mezzogiorno registra valori inferiori alla media nazionale”. Si chiama svalutazione interna, diretta conseguenza della rigiditĆ del cambio.
L’industrializzazione, da parte sua, non ĆØ certo aiutata dalla politica infrastrutturale. “LāItalia – prosegue il rapporto Istat – ĆØ tra i paesi dellāUnione a più bassa intensitĆ autostradale, ben lontana dai valori di Spagna, Francia e Germania”. Sempre nel 2014, inoltre, “il trasporto di merci su strada ha sviluppato un traffico di poco inferiore a 118 miliardi di tonnellatekm (Tkm), in calo del 7.4% rispetto al 2013. Il volume di traffico italiano, pari a 19,4 milioni di Tkm per 10mila abitanti, ĆØ inferiore a quelli di tutti i principali partner dellāarea dellāeuro e si pone tra i più bassi nellāUe28”. Stessa storia anche per le ferrovie: “il nostro ĆØ tra i paesi con estensione relativa minore, seguito da Regno Unito, Portogallo, Grecia e Paesi Bassi”.
Filippo Burla
1 commento
Ć giusto che lāItalia affondi. Una nazione che ha come primo ministro Renzi e ministro dellāinterno Alfano deve andare in malora.