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Una visita al Popolo d’Italia, il “covo” di Mussolini

by La Redazione
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Popolo d'ItaliaRoma, 14 giu – Stamattina, mentre comodamente seduto in poltrona, davanti al pc, mi apprestavo a buttar giù la prima “notarella” di una serie per il Primato, non ho potuto non pensare alle comodità del progresso. Scrivo, correggo infinite volte, faccio “copia-incolla”, tolgo e aggiungo, finchè alla fine, con un semplice click mando tutto al nostro direttore Adriano Scianca. Ma non è stato sempre così. Prendiamo un esempio a caso: Milano 1919, via Paolo di Cannobio nr 35, Popolo d’Italia, direttore Benito Mussolini, collaboratori in massima parte provenienti dalle file del sindacalismo rivoluzionario, con qualche importante eccezione come Soffici, Volpe e Prezzolini, due minacciosi motti sulla testata: “La rivoluzione è un’idea che ha trovato delle baionette” (Napoleone) e “Chi ha del ferro ha del pane” (Blanqui). Proviamo ad entrare insieme: i locali sono modesti ed angusti: una stanza a pian terreno e un paio di altre al primo piano, dall’aspetto anonimo e anche un po’ triste.

Su muri e porte, però la fantasia (dello stesso direttore ?) si è scatenata, con cartelli dalle scritte più imprevedibili: “I signori redattori sono pregati di venire in orario quando vogliono, ma di rimanere in redazione il meno possibile”, oppure: “Chi impiega cinque parole per dire quanto è possibile dire con una parola sola è un uomo capace di qualunque azione”, e ancora: “Chi non sa tacere mentre il compagno lavora, dimostra di non saper compiangere la sventura altrui”. Il migliore di tutti, però è quello incollato sopra la porta dell’ufficio di Mussolini: “Chi entra mi fa onore, chi non entra mi fa piacere”. Sparsi qua e là nelle poche stanze, non mancano tipi singolari, come ci conferma Ernesto Daquanno, un collaboratore del giornale: Ecco infatti, lì, nella prima stanza, tre o quattro Arditi, con tanto di pugnale e pistola alla cintola. Uno di essi, sdraiato sopra un tavolo, sembrava dormisse, mentre gli altri si mostravano a vicenda alcune bombe a mano, del tutto simili a quelle usate in guerra, discutendo dell’efficacia del funzionamento dei diversi tipi. In un’ altra stanza, seduti intorno ad un gran tavolo, e frammisti con i redattori del Popolo d’Italia, erano alcuni Ufficiali, sulla cui divisa apparivamo i segni del valore e delle ferite riportate. Non di rado, si trattava addirittura di Ufficiali gravemente mutilati. Appartenevano a tutti i gradi: sovente vi si notava un Colonnello, ma generalmente trattavasi di Ufficiali subalterni”.

All’esterno fanno bella mostra cavalli di frisia e reticolati, per ora accantonati in un  angolo, ma pronti ad essere “schierati” quando –e succede spessissimo- minacciosi cortei si avvicinano. Lo ricorda bene Margherita Sarfatti, una delle tre-quattro presenze femminili fisse in via paolo di Cannobio: “…Non eravamo vicini comodi. Ogni secondo giorno, rincasando, trovavamo i portoni sbarrati, abbassate le saracinesche, e gli sbocchi dell’angusta strada asserragliati di cavalli e soldati in elmetto, accampati sulla paglia per il rancio e l’addiaccio. C’era uno sciopero, una dimostrazione e un corteo, le bandiere rosse sfilavano per il vicino Corso di Porta Romana o si inoltravano verso Piazza del Duomo, si temeva che venissero a contatto con gli interventisti amici del Popolo d’Italia”
I tempi sono questi, e tutti lo sanno, anche gli avversari.

A Torino, alla sede del gramsciano ordine Nuovo (che per una curiosa coincidenza è nella stessa strada della sezione fascista, e vi lascio immaginare gli “inconvenienti”), Battista Santhià e le altre Guardie Rosse della vigilanza sono costrette a qualche precauzione in più: “Per accedere ai locali del giornale, si doveva attraversare prima un atrio, e poi un vasto cortile, separati l’un l’altro da un pesante portone blindato, con un operaio armato che faceva da sentinella. Nel cortile era attrezzato un sistema di difesa: reticolati, cavalli di frisia, trappole, suonerie d’allarme e un posto di guardia permanente: operai armati si davano il cambio, pronti ad intervenire al primo segnale di attacco. Anche i redattori erano armati”. Ora dobbiamo uscire, però: sento un coro di Bandiera Rossa in lontananza, e qui dalla cantina stanno portando su fucili e Thevenot…magari altre notizie la prossima volta

Giacinto Reale

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