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Ghiggia e Schiaffino, le reti italiane del Maracanazo

by Marco Battistini
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ghigghia schiaffino

Roma, 16 lug – I primi a far calcisticamente piangere il Brasile furono Colaussi e Meazza. Correva l’anno 1938 e i fin troppo ottimisti sudamericani avevano già acquistato i biglietti aerei per Parigi, sede della finale mondiale. Non andò meglio alla Seleçao quarantaquattro anni più tardi, quando la tripletta di Pablito Rossi costrinse Zico e soci ad annullare la prenotazione dell’albergo madrileno che avrebbe dovuto ospitare i favoritissimi della dodicesima competizione iridata. Se è vero che da quel 5 luglio catalano gli azzurri non hanno mai più battuto i brasiliani, d’altro canto sappiamo che ai pentacampioni siamo sempre andati indigesti. Anche quando già eliminati: più della tragedia del Sarriá fu il Maracanazo. In campo i cugini dell’Uruguay, protagonisti i “nostri” Alcides Ghiggia e Juan Alberto Schiaffino.

Le stelle dell’Uruguay

Nati entrambi nelle terre protette dal sole di maggio, le origini del primo sono da ricercare nella Svizzera italiana – la famiglia è del Canton Ticino – quelle del forte centrocampista a Camogli, nel levante ligure. Siamo nel 1950, anno del mondiale brasiliano: entrambi giocano per il Penarol, maglia giallonera e sangue tricolore. Squadra che offre alla Celeste un blocco di nove giocatori. Sia l’imprendibile ala che l’interno sono figure di spicco di una nazionale sulla carta molto forte ma che – come si suol dire – potrebbe fare di più.

I mondiali del 1950

Scelta “obbligata” quella del paese ospitante: in quel periodo il Brasile, al contrario dell’Europa, non è alle prese con la ricostruzione susseguente al secondo conflitto mondiale. Oltre ai padroni di casa e ai futuri campioni, c’è anche l’Italia. Unica nazione uscita sconfitta dalla guerra ad essere “invitata”, la nostra selezione si presenta da doppia detentrice del trofeo. Gli azzurri, scossi nell’animo (e obiettivamente decimati) dalla tragedia di Superga, optano per un lungo viaggio in nave al posto della più veloce via aerea. Tra le altre partecipanti si registrano invece i rifiuti di Francia – per motivi logistici – e India, nazionale “scalza”: leggenda vuole che la rinuncia asiatica sia dovuta proprio al divieto di giocare senza scarpini.

La prima fase, azzoppata nel calendario per queste defezioni, vede qualificarsi al girone finale Brasile (ancora in maglia bianca con particolari blu), Spagna, Svezia – ai danni di un’imbolsita Italia – e appunto, Uruguay. L’ultimo raggruppamento inizia con le larghissime vittorie carioca – tredici reti in due gare – sulle rivali del Vecchio Continente. La compagine di Ghiggia e Schiaffino pareggia contro le Furie Rosse e vince di misura ai danni degli scandinavi. Prima del risolutivo scontro diretto c’è un solo punto di differenza: il quarto mondiale, insomma, diventa una questione tutta sudamericana.

Prima del Maracanazo

Maracanã, 16 luglio 1950. Al Brasile basta un pareggio per entrare nell’albo d’oro, all’Uruguay serve la vittoria per ottenere la seconda Coppa Rimet. Particolare che poco importa agli altezzosi padroni di casa: dalle stampe anticipate dei giornali alle già festanti strade dell’allora capitale, tutti sotto al Corcovado attendono l’ultima gara iridata accompagnati da sole certezze.

Costruito proprio per la competizione mondiale, lo stadio di Rio de Janeiro è chiamato ad ospitare la partita decisiva. Un appuntamento con la storia del pallone che porta sui gradoni oltre duecentomila spettatori, poche decine di celesti a fronte del locale muro umano. Nel primo tempo la Seleçao spinge, gli “ospiti” si difendono al limite del catenaccio e reggono l’incessante pressione. A inizio ripresa Ademir – capocannoniere del torneo – libera al tiro Friaça: un assordante boato accompagna l’uno a zero brasiliano, il gol che anticipa la festa del triplice fischio. O almeno: avrebbe dovuto farlo.

Le reti di Schiaffino e Ghiggia

Sì, perché di lì in poi ogni inerzia si capovolge. Nonostante l’ambiente infuocato l’Uruguay riesce a non scomporsi e, sempre guidato dalle geometrie di Schiaffino, rimane comunque in partita. Oltre l’ora di gioco proprio il regista osannato da Brera – pochi anni più tardi vestirà le prestigiose maglie di Milan e Roma – segna, con una decisa stoccata, il punto che vale il pareggio. Nonostante il risultato ancora favorevole il volume del Maracanã improvvisamente si abbassa, silenzio che diventa irreale al minuto settantanove. Ossia quando Ghiggia (anche per l’esterno offensivo il futuro sarà un “ritorno” nel Belpaese) si beve tutta la fascia di competenza e scarica sul primo palo il violento destro del decisivo sorpasso. Si era appena compiuto il Maracanazo. L’Uruguay dall’anima italica saliva per l’ultima volta sul tetto del mondo.

Marco Battistini

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