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Ammazzò la moglie italiana a martellate, marocchino si becca l’ergastolo

by Cristina Gauri
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Roma, 12 set — Fine pena mai per Youssef El Haitami, il 56enne marocchino che il 3 luglio del 2021 ha ucciso, massacrandola a martellate, la moglie 62enne Ginetta Giolli. Lo straniero è stato condannato all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Livorno che lo ha giudicato colpevole di omicidio volontario. Stando a quanto riferito dal quotidiano livornese Il Telegrafo e successivamente ripreso da Il Giornale i due si erano sposati quattro anni fa, nel 2018, anche se da tempo vivevano separati.

Marocchino massacra la moglie a martellate

Un matrimonio — a compimento del quale il marocchino aveva ottenuto la tanto agognata cittadinanza italiana — che al vicinato della coppia era apparso alquanto anomalo: i due non smettevano di litigare dal mattino alla sera, in modo decisamente acceso. Le liti peggiori venivano innescate dal perenne stato di ubriachezza in cui versava l’immigrato. In tali frangenti l’uomo diventava estremamente violento fino a picchiare selvaggiamente la consorte. La quale, esasperata dalla situazione famigliare, era riuscita a cacciare di casa il marito tra il 2020 e il 2021, senza però che nessuno dei due coniugi avesse chiesto e ottenuto il divorzio.

L’omicidio

Una situazione mal tollerata dal marocchino che evidentemente considerava la moglie una proprietà di cui poter disporre a piacimento e senza il minimo riguardo. Fino alla tragedia: il 3 luglio del 2021 il corpo della donna fu trovato senza vita sul pavimento di casa, con il cranio aperto dalle martellate. L’oggetto contundente venne poi trovato nascosto dietro il mobilio casalingo.

Gli inquirenti, anche alla luce delle testimonianze rese dai vicini di casa, avevano immediatamente puntato i riflettori contro il marocchino, sospettandolo di omicidio e arrestandolo due giorni dopo la scoperta del cadavere. Lo straniero, che si è sempre dichiarato innocente, è rimasto inchiodato dall’evidenza delle prove e dalla chiarezza del movente. Tanto da convincere la Corte d’Assise di Livorno ad applicare il massimo della pena.

Cristina Gauri

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