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Come negli anni 70, a Trento “kollettivo” universitario caccia giornalista de Il Giornale

by Cristina Gauri
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università biloslavo

Trento, 17 ott – Dopo Marco Gervasoni cacciato dalla Luiss per un tweet, ecco un altro esponente del cosiddetto pensiero non allineato la cui presenza è stata interdetta all’interno di uno spazio universitario — proprio l’ambiente per per eccellenza dovrebbe essere terreno di scambio, confronto, dibattito. È successo alla firma de Il Giornale Fausto Biloslavo, a cui è stato impedito di prendere parola alla facoltà di sociologia dell’università di Trento. Stavolta però il “no pasaran” non è stato intimato dal rettorato: ci hanno pensato i collettivi della sinistra antagonista a sbarrargli la strada.

“Un gruppo di facinorosi”, scrive oggi proprio sul Giornale, che “da giorni facevano cagnara e hanno appeso uno striscione all’ingresso con lo slogan ‘fuori i fascisti dall’università’”. Gli autori di tale capolavoro appartengono al Cui, Collettivo universitario refresh. “La mia colpa? Essere un uomo ‘nero’ come dimostrerebbe la mia militanza nel fronte della Gioventù di Trieste, 40 anni fa”. Come fa notare Biloslavo, l’aspetto più increscioso della situazione sta nella totale mancanza di spina dorsale dell’università che “ha deciso di piegarsi alla violenta minoranza trovando un cavillo formale e vietando l’accesso all’aula”, all’ultimo momento, mentre il giornalista stava arrivando in treno “dopo ore di viaggio”.

Un funzionario dell’università, un cuor di leone “che neppure si è fatto vedere, mi ha confermato al telefono, un’ora prima della conferenza, che era saltata”. Grande serietà e coraggio. Insomma, siamo ritornati agli Settanta: a Biloslavo è stato interdetto l’accesso alla facoltà perché i nipotini di Curcio avevano organizzato dei picchetti, guardati a distanza da celere e Digos che non si sognavano per nulla di ristabilire l’ordine. È circolato anche un volantino delirante, in cui il giornalista è stato tacciato “come fascista” e che conteneva “allusioni false e tendenziose alla strage di Bologna”, e bugie sulla collaborazione con la casa editrice Altaforte, “che in ogni caso non costituirebbe un reato”. Alla fine del volantino poteva mancare il grande classico la foto di Biloslavo a testa in giù? Ma ovviamente no. “Di tutta questa storia — conclude il giornalista — rimane la profonda amarezza per un dipartimento universitario, che dovrebbe essere tempio del sapere e della tolleranza, ma per quieto vivere e per semplice pavidità si è piegato agli intolleranti”.

Cristina Gauri

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1 commento

Jos 30 Dicembre 2019 - 8:36

…quieto vivere = paviditå..

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