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Bengalese pesta la moglie, per il pm va assolto: “Fatto culturale”. Gli stranieri non vanno “rieducati”

by Cristina Gauri
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Roma, 11 set — Lo sapevate? Il mantra «Educhiamo gli uomini a non aggredire o stuprare le donne», diktat ossessivo che riemerge ogni qual volta un fatto di violenza nei confronti di una donna balza agli onori della cronaca, prevede una dispensa particolare. Se chi abusa, picchia, stupra, brutalizza, proviene da quelle aree del mondo culturalmente propense a considerare la femmina alla stregua di un animale da cortile, la violenza si converte magicamente ne «il frutto dell’impianto culturale e non della coscienza e volontà di annichilire e svilire» la vittima. È quanto si legge, nero su bianco, nella sconcertante richiesta di assoluzione di un pubblico ministero di Brescia nell’ambito di un procedimento contro un cittadino bengalese, residente nella provincia lombarda.

Il bengalese picchia la moglie, per il pm va assolto: “Fatto culturale”

La condotta dell’uomo, chiamato a rispondere delle brutali violenze, fisiche e psicologiche, inflitte alla giovane moglie (sua connazionale), rientrerebbe nel campo dei reati «culturalmente orientati» che non andrebbero puniti. «I contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell’odierno imputato – si legge nelle conclusioni depositate alle parti – sono il frutto dell’impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima, atteso che la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine».

Venduta al marito come un capo di bestiame

La vicenda ha avuto inizio nel 2019, quando la vittima, una 27enne bengalese madre di due figlie, aveva sporto denuncia contro il coniuge, a causa dei continui maltrattamenti. Al culmine di un calvario infernale, iniziato con il matrimonio combinato che le era stato imposto dalla famiglia, la donna aveva trovato il coraggio di dire basta. Ma a gravare ulteriormente sulle sofferenze della giovane straniera fu l’atteggiamento della Procura, che aveva chiesto l’archiviazione del procedimento. La richiesta venne in seguito rigettata dal gip: «Sussistono senz’altro elementi idonei a sostenere efficacemente l’accusa in giudizio nei confronti dell’ex marito», queste le motivazioni del giudice. Venduta al marito per 5mila euro, come un capo di bestiame, imprigionata per anni nella propria abitazione, «dopo anni di urla, insulti e botte, sotto la costante minaccia di essere riportata in Bangladesh definitivamente, nel 2019 ho trovato il coraggio di denunciare», racconta la donna al Giornale di Brescia.

È “violenza patriarcale” solo se la commette un europeo

«Le condotte dell’uomo — si legge nella sconcertante richiesta di assoluzione presentata dal pm — sono maturate in un contesto culturale che sebbene inizialmente accettato dalla parte offesa si è rivelato per costei intollerabile proprio perché cresciuta in Italia e con la consapevolezza dei diritti che le appartengono e che l’ha condotta ad interrompere il matrimonio. Per conformare la sua esistenza a canoni marcatamente occidentali, rifiutando il modo di vivere imposto dalle tradizioni del popolo bengalese e delle quali invece, l’imputato si è fatto fieramente latore».

Fieramente latore. Esisterebbe dunque una «cultura dello stupro» e della violenza patriarcale — di cui presuntamente sarebbe imbevuto il maschio italico — da sradicare senza indugio, e una da tollerare: quella, cioè, che riguarda maschi allogeni di altre culture e religioni. La violenza patriarcale (qualsiasi cosa significhi) è tale solo se la commette un europeo, per il «buon selvaggio» esiste il salvacondotto culturale. Una «cultura» che non turba i sonni di progressisti e femministe, rimaste misteriosamente silenziose in merito all’episodio.

Cristina Gauri

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