Bologna, 9 mag — «Scusi, lei e su figlio spacciate?»: è rimasto nella memoria degli italiani il video in cui Matteo Salvini citofonava, a inizio 2020, a una famiglia di tunisini residenti nel quartiere bolognese del Pilastro chiedendo loro se ci fosse uno spacciatore in casa. Il blitz del leader leghista, avvenuto nel corso della campagna elettorali per le Regionali in Emilia-Romagna, scatenò un vespaio di polemiche, con la famiglia che arrivò a querelare per diffamazione lui e la residente che gli aveva indicato la loro casa come covo di spaccio.

La famiglia a cui citofonò Salvini condannata per spaccio

Ebbene, tre anni dopo è emerso che Salvini non aveva torto: l’intera famiglia è stata condannata per droga nell’ambito del  processo con rito abbreviato all’organizzazione che gestiva lo spaccio in zona Pilastro a Bologna: 21 condanne per un totale di quasi 83 anni di carcere complessivi. Era stata un’inchiesta della Dda a portare all’arresto di 14 persone e a sottoporne altre 11 a misure cautelari per lo smercio tra via Frati, Deledda e Casini. L’indagine dei pm Roberto Ceroni e Marco Imperato partì dall’assassinio di Nicola Rinaldi, ucciso nell’agosto 2019 in via Frati: alcuni suoi familiari sono stati coinvolti nell’inchiesta.

Al centro delle polemiche

La citofonata dell’attuale ministro delle Infrastrutture finì al centro delle polemiche perché all’epoca le indagini erano già in corso e a causa della sovraesposizione mediatica gli indagati trasferirono altrove i nascondigli dove venivano accumulate le sostanze stupefacenti.

Le condanne 

Tra i condannati, come detto, figura la famiglia a cui Salvini aveva citofonato: alla moglie Caterina Razza e al marito Labidi Faouizi Ben Ali vanno rispettivamente un anno e due anni, sei mesi e venti giorni, a uno dei figli quattro anni, sei mesi e venti giorni e a un’altra figlia a tre mesi e dieci giorni. La posizione del figlio minore, all’epoca 17enne è stata invece rinviata al Tribunale per i minorenni.

 

Cristina Gauri

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Classe 1977, nata nella città dei Mille e cresciuta ai piedi della Val Brembana, dell’identità orobica ha preso il meglio e il peggio. Ex musicista elettronica, ha passato metà della sua vita a fare cazzate negli ambienti malsani delle sottoculture, vera scuola di vita da cui è uscita con la consapevolezza che guarire dall’egemonia culturale della sinistra, soprattutto in ambito giovanile, è un dovere morale, e non cessa mai di ricordarlo quando scrive. Ha fatto uscire due dischi cacofonici e prima di diventare giornalista pubblicista è stata social media manager in tempi assai «pionieri» per un noto quotidiano sabaudo. Scrive di tutto quello che la fa arrabbiare, compresi i tic e le idiozie della sua stessa area politica.

2 Commenti

  1. Le pene semplicemente ridicole, che poi nessuno di questi rimane più di un anno in carcere ma peggio ancora, dal carcere continuano a fare “l’affare” come se liberi. Mi piace di più come funziona in certi paesi islamisti con delle pene vere , comunque nel parlamento tedesco a Berlino, qualche anno fa hanno fatto dei controlli nei bagni usati SOLO da parlamentari e avevano trovato resti e tracce di tutti i tipi di droghe, principalmente cocaina, sarebbe di farlo nei bagni usati dai nostri politici e la sorpresa sarebbe come quella esperienza tedesca, perciò…questa notizia non mi eccita.

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