Modena, 14 giu — Si era inventato tutto, plagiato e «imboccato» da psicologi, assistenti sociali e dai genitori adottivi: il Caso Veleno, l’inchiesta dei «diavoli della Bassa Modenese» basato sui racconti di stupri, abusi famigliari, riti satanici e omicidi riferiti da 16 bambini e che è costata la distruzione di altrettante famiglie è frutto delle invenzioni di Davide, ora 31enne.
Correva l’anno 1997, quasi vent’anni prima di Bibbiano, ma la dinamica è drammaticamente simile e i fatti si snodano nell’inquietante documentario Veleno di Pablo Trincia. Davide iniziò a fornire racconti da film dell’orrore agli psicologi dei servizi sociali. Da lì l’apertura dell’inchiesta che portò detti servizi a separare 16 minori dalle proprie famiglie. Nessuno ha mai più fatto ritorno a casa, alcuni genitori sono stati condannati e in carcere ci sono morti — i genitori di Davide, per esempio. Oggi lui ammette: «Ho raccontato quello che volevano sentirsi dire».
Il bambino zero di Veleno aveva inventato tutto
E’ Repubblica a raccogliere la testimonianza di Davide, che ha da poco incontrato i suoi fratelli naturali Ivan, 45 anni, e Debora, 42. Non li vedeva da 24 anni. Da quel 1997 in cui venne portato via dagli assistenti sociali e affidato a un’altra famiglia nel Reggiano. «È stata una emozione fortissima. Papà e mamma purtroppo non ci sono più, ma almeno ho due fratelli, ed è stato bellissimo rivederli. Ora non ci lasceremo mai più».
Le pressioni degli psicologi
Il piccolo Davide aveva 7 anni quando i servizi sociali lo allontanarono dalla famiglia naturale perché indigente. Il piccolo, tuttavia, tornava periodicamente dai genitori. Durante una di queste occasioni Davide aveva visto la mamma naturale molto triste e questo fatto lo aveva destabilizzato. La madre adottiva, notando il cambiamento nel bimbo, aveva iniziato a pressarlo con domande su presunti maltrattamenti. «Ha insistito tanto che alla fine le dissi di sì. Anche perché avevo paura di essere abbandonato, se non la avessi accontentata. Senza rendermi conto delle conseguenze di quello di quello che stavo facendo», spiega Davide.
Intervengono gli psicologi che rincarano la dose e ripetono le pressioni. «La psicologa e le assistenti sociali che mi seguivano iniziarono a martellarmi di domande. Ricordo diversi colloqui anche di 8 ore. Non smettevano finché non dicevo quello che volevano loro. Mi chiesero di dire dei nomi e io inventai dei nomi a caso, su un foglio. Per disperazione. Ho inventato che mio fratello aveva abusato di me, che c’erano delle persone che facevano dei riti satanici. Ma non c’era nulla di vero. Mi sono inventato tutto. Perché se dicevo che stavo bene non mi credeva nessuno. A forza di insistere ho detto quello che si volevano sentir dire».
I genitori morirono in carcere
Altri bambini, con tutta probabilità sottoposti alle medesime pressioni, confermano i racconti di Davide. «Vi assicuro che dopo determinate domande un bambino dice quello che vuoi. Se a un bambino dici dieci volte che i genitori facevano cose brutte, alla fine lui dice, sì, facevano cose brutte», prosegue Davide. Il fratello Ivan finì in carcere. «In realtà eravamo molto legati, avevamo un ottimo rapporto, non riesco ad accettare di aver detto queste cose sulla mia famiglia: mi dispiace tanto», racconta. I genitori fecero la stessa fine, si ammalarono e morirono durante il periodo della reclusione.
C’è anche lo psicologo di Bibbiano
Spunta poi il nome di Claudio Foti, lo psicologo di Bibbiano. «Mia madre (quella adottiva ndr) mi ha portato anche dallo psicologo Claudio Foti, a Bibbiano. Anche lui ha provato a farmi dire che avevo subito gli abusi. E di stare lontano dai giornalisti». Davide prosegue con il racconto del proprio ricovero: «Nel mio ultimo ricovero sono entrato volontariamente. Perché io continuavo a dire che quegli abusi non erano mai avvenuti mentre la mia madre adottiva continuava a dire che invece erano avvenuti e che dovevo farmi curare. Non sapevo dove sbattere la testa e ho chiesto di essere ricoverato per qualche giorno. Ma invece mi hanno tenuto 41 giorni contro la mia volontà. Un avvocato mi ha aiutato a uscire».
Il racconto dell’autore di Veleno
Cristina Gauri