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“Le intensive sono vuote, la carica virale diminuita”. Lo studio del San Raffaele che dà ragione a Zangrillo

by Cristina Gauri
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coronavirus

Milano, 1 giu – «Ho detto, e confermo, che il virus clinicamente non esiste più. Gli italiani meritano di sapere la verità, e cioè che l’evidenza clinica ci dice questo». Con queste dichiarazioni – che hanno fatto andare di traverso il pranzo domenicale a virologi ed espertoni del governo Conte – ieri il direttore della Terapia intensiva del San Raffaele di Milano Alberto Zangrillo ha scatenato un’accesa polemica, dibattuta in queste ore tra chi si trova concorde con le sue parole e chi si è stracciato le vesti per «parole così fuorvianti e pericolose». «Il virus alberga ancora tra noi – ha rincarato – come decine di altri virus, ma quello che vediamo è quello che ho affermato. E’ opportuno continuare temporaneamente a osservare le norme prudenziali, ma gli italiani hanno il diritto di sapere l’evidenza clinica attuale sul virus».

Zangrillo è soltanto l’ultimo in ordine cronologico a sostenere che molto è cambiato nella diffusione dell’epidemia. A suffragio di queste teoria, supportata da un sempre maggior numero di scienziati, è ora in via di pubblicazione uno studio condotto all’Ospedale San Raffaele di Milano, che dimostrerebbe come tra marzo e maggio la quantità di virus presente nei soggetti positivi si sia ridotta notevolmente. «Abbiamo analizzato 200 nostri pazienti — spiega al Corriere Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia del San Raffaele e professore all’Università Vita-Salute —, paragonando il carico virale presente nei campioni prelevati con il tampone. Ebbene i risultati sono straordinari: la capacità replicativa del virus a maggio è enormemente indebolita rispetto a quella che abbiamo avuto a marzo. E questo riguarda pazienti di tutte le età, inclusi gli over 65». Una buona notizia, quindi, che riguarda la fascia più colpita e vulnerabile alla virulenza del Covid-19.

Clementi però avverte: una diminuzione della carica virale non sta per forza a significare che il virus sia mutato: «Possiamo dire, in base ai risultati dell’indagine e a quello che vediamo in ospedale, che è cambiata la manifestazione clinica — precisa —, forse anche grazie alle condizioni ambientali più favorevoli», cioè all’aumento delle temperature. «Ora assistiamo a una malattia diversa da quella che vedevamo nei pazienti a marzo-aprile».

Un’osservazione che trova riscontro anche nel numero e nella tipologia di ricoveri: «Non solo non abbiamo più nuovi ricoveri per Covid in terapia intensiva, ma nemmeno in semi-intensiva. Nelle ultime settimane sono arrivati pochi pazienti e tutti con sintomi lievi». Come si fa a stabilire la quantità di virus presente in un soggetto? «È possibile farlo grazie a diverse tecniche quantitative, che ho sviluppato in passato anche per l’Aids. Si tratta di sistemi messi a punto in virologia che consentono di misurare gli acidi nucleici, in questo caso l’Rna di Sars-CoV-2, ovvero le copie del virus rilevabili nel rino-faringe del paziente. Rispetto alle indagini sull’Aids, il campione biologico ottenuto da tampone può essere meno preciso rispetto al campione di sangue (perché c’è il rischio di errore umano)», ma i tamponi analizzati nello studio di Clemente erano 200 e il risultato «è stato univoco: uno scarto estremamente rilevante tra il carico virale dei pazienti ricoverati a marzo e quelli di maggio. In gergo tecnico, parliamo di una differenza di significatività a quattro zeri. Visibile anche a colpo d’occhio: i primi campioni esaminati sono tutti raggruppati nella parte più alta del grafico, mentre quelli recenti occupano la parte bassa».

Che origine ha l’«indebolimento» del virus? «Possiamo affermare che Sars-CoV-2 oggi replica meno, ma non abbiamo certezza sulle origini del fenomeno. Un’ipotesi è che si tratti di un co-adattamento all’ospite, come avviene normalmente quando un virus arriva all’uomo». In poche parole, il virus ha maggiore interesse a sopravvivere all’interno del corpo in questione senza causarne il decesso, per poi «diffondersi ad altri soggetti: obiettivi irraggiungibili se il malato muore a causa dell’infezione».

Previsioni per l’autunno? Dovremo rivivere l’incubo della pandemia? «Nessuno può sapere con certezza se ci sarà una nuova ondata di contagi, la temevamo anche per la Sars ma non si è verificata e, anzi, il virus è scomparso — illustra Massimo Clementi —. Per quanto riguarda Sars-CoV-2, ci potranno essere dei focolai locali» e sarà determinante agire tempestivamente sulla base delle conoscenze acquisite durante la prima ondata «isolandoli, individuando i contatti e affidando i pazienti alla medicina di territorio per lasciare gli ospedali solo a eventuali casi gravi». E conclude: «I casi che vengono comunicati ogni giorno in Lombardia non sono nuove infezioni, bensì nuove diagnosi: questa è una differenza sostanziale. Che testimonia che, oggi, l’epidemia è in una fase molto diversa rispetto allo scorso marzo. Per questo sono a favore della riapertura dei confini regionali». Anche Guido Silvestri, virologo e docente alla Emory University di Atlanta (Usa), ha parlato di «dati di laboratorio molto solidi» riferendosi allo studio del San Raffaele.

Cristina Gauri

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1 commento

Sergio Pacillo 1 Giugno 2020 - 11:59

Una pandemia paragonata alla seconda guerra mondiale !
L’esercito schierato contro un essere microscopico dell’ordine del decimillesimo di millimetro !
Danni ingenti causati dall’uomo misurati in Europa intorno ai mille miliardi.
Cosa si nasconde dietro a tutto questo ?

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