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Tutto ciò che non torna nel monologo della Jebreal: una vita diversa da quella raccontata nel 2011

by Ilaria Paoletti
7 comments
Rula Jebreal a Sanremo

Roma, 13 feb – Rula Jebreal ha fatto del privato uno spettacolo catechizzante in diverse occasioni. Prima di tutto ha scritto un libro, La strada dei fiori di Miral. Da questo libro è stato tratto un film, Miral diretto dall’allora fidanzato Julian Schnabel. Sebbene romanzate, entrambe le opere hanno caratteri autobiografici; l’infanzia di una bambina palestinese in Israele, l’orfanotrofio la figura tenera e autorevole del padre e poi il viaggio verso l’Europa. Niente di tutto questo è stato portato sul palco di Sanremo, anzi.

L’intervista a Interview del 2011

La Jebreal ha sempre rivendicato il legame intimo che condivide con le sue opere. In un’intervista per Interview magazine del 2011, la Jebreal parla del film e della sua vita. E questo mette in luce alcune discrepanze con il racconto di se stessa, fatto nuovamente spettacolo, che la giornalista italo palestinese ha fatto sul palco di Sanremo. La Jebreal è stata mandata in un istituto di educazione palestinese che si chiama Dar Al-Tifel dal padre, un imam, alla morte della madre. Questo orfanotrofio, fondato dalla filantropa Hind Husseini non sembra provocare ricordi orribili nella Jebreal del 2011. Non solo, la ricca donna che istituì questa scuola per bambini sfortunati era amica del padre della Jebreal: “Si conoscevano molto bene. Erano amici. Poiché mio padre era un imam, la gente lo considerava una specie di autorità”. La Jebreal sostiene di ammirare molto – e a ragione la Husseini. Quando il padre di Rula muore lei ha sedici anni e preferisce restare nell’istituto anche se le viene offerto di tornare a casa: “Quell’istituto dava una libertà inconsueta a noi donne”, ricorda. Tanto che la stessa “Mama Hind” la aiuterà ad arrivare in Italia con una borsa di studio.

L’orfanotrofio dell’orrore

Ma ora, cosa dice Rula del collegio Dar Al-Tifel nel suo monologo a Sanremo? Sembra più che altro uno scenario dickensiano: “Sono cresciuta in un orfanotrofio, insieme a centinaia di bambine. La sera, una per volta, noi bambine raccontavamo una storia, le nostre storie. Erano una specie di favole tristi. Non favole di mamme che conciliano il sonno, ma favole di figlie sfortunate, che il sonno lo toglievano. Ci raccontavamo delle nostre madri: torturate, uccise, violentate“. Niente “Mama Hind”, niente educazione e nemmeno una parola per la volontà di rimanere nell’orfanotrofio che l’avrebbe aiutata ad arrivare qui da noi.

Jebreal: “Mamma era promiscua, alcoolizzata, violenta”

E la madre di Rula? Per parlare della madre, bisogna spendere due parole per il papà. Nel 2011, Rula ammette che il padre ha avuto un’enorme influenza positiva su di lei, e che la scelta di portarla in collegio fu dettata dal fatto che non avrebbe saputo prendersi cura di lei. “Il più grande successo di mio padre con noi da bambini è stato il fatto che ci ha insegnato che tutti sono umani e uguali, anche il tuo nemico ha gli stessi bisogni e desideri che hai tu: comprensione, amore, inclusione“, dice Rula a Interview. E poi: “Amava mia madre senza giudicarla … Era sua moglie, ma era promiscua. Beveva alcolici. Lo insultava. Ha insultato tutti noi. Ma lui l’amava. Nonostante tutto, ha cercato di aiutarla fino alla sua morte. Pensava di poterla salvare, ma non ci riuscì. Almeno le ha dato il dono di una famiglia”.

Il suicidio in due versioni

“Mia madre Zakia si è suicidata, dandosi fuoco” ha confessato Rula sul palco di Sanremo lasciando gli occhi lucidi agli spettatori. Anche nel 2011, al New York Times, la Jebreal parlò del suicidio della madre ma disse che si era affogata entrando in mare.

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“Mia madre Nadia fu stuprata e brutalizzata due volte: a 13 anni da un uomo e poi dal sistema che l’ha costretta al silenzio. L’uomo che l’ha violentata per anni, il cui ricordo incancellabile era con lei, mentre le fiamme mangiavano il suo corpo, aveva le chiavi di casa”; a sentire così il racconto della Jebreal, sembrerebbe quasi che sia stato lo stesso padre della Jebreal ad abusare di Nadia detta Zakia e poi a causarne il suicidio. Invece, rivela solo in seguito la Jebreal, fu il patrigno. Non una parola per quel padre forte, tenero, che l’ha protetta dagli squilibri psicologici della madre; da istituto scolastico filantropico e all’avanguardia Dar Al-Tifel diventa una specie di posto dell’orrore. Per non parlare poi delle cifre “gonfiate” (ad arte o per errore) sulle violenze subite dalle donne in Italia. Sia chiaro, a noi non importa quali siano le modalità con cui la madre di Rula si è tolta la vita; non ci interessa sapere perché il padre, una figura positiva, non venga mai menzionato nel suo discorso come un esempio positivo di mascolinità. Rula, però, ci ha scritto un libro, fatto un film e non da ultimo un monologo su uno dei palchi più importanti d’Italia. E quando il messaggio che tenta di veicolare è politico, indagare sulle incongruenze del racconto è inevitabile.

Ilaria Paoletti

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7 comments

Jos 13 Febbraio 2020 - 6:38

…se continua così, finisce che la colpa è dei marziani… e ci scappa un bel film fantascientifico…

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Cesare 14 Febbraio 2020 - 12:44

Tutti questi personaggi televisivi costruiti ad arte che fanno i moralozzi chissà da quale scranno e con quale autorità morale sono veramente insopportabili.

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Akmed 14 Febbraio 2020 - 4:51

Può tornare dal buco di fogna da dove è uscita. Nessuno le ha chiesto niente. Defecare parole da quella bocca denota profonda intolleranza da parte di questa regina seduta su un trono di pattume.

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Gispygi 14 Febbraio 2020 - 9:57

Cara Ilaria Paoletti lei ha fatto benissimo ad evidenziare Le incongruenze nel racconto della giornalista e mi ha fatto venire ancora più voglia di andare a leggere i libri della jebreal per farmi un’opinione personale .Trovo di una grande disonestà intellettuale affermare che in questo caso il messaggio che è stato dato sul palco di Sanremo sia politico. poiché ci si è mantenuti invece sul piano umano e la giornalista seppur connotata politicamente in questo caso hai veicolato un messaggio importantissimo in difesa della dignità e autodeterminazione delle donne per le quali in caso di abusi noi per prime dobbiamo essere solidali seppur le vittime fossero state vestite in modo succinto o abbiano comportamenti promiscui come la madre di Rula.,come conseguenza della devastazione interiore a seguito dell ‘abuso non denunciato. In questo caso è lei che sta disonestamente strumentalizzando quello che è stato fatto La prego la prossima volta prima di usare le sue capacità umane e giornalistiche su questo tema pensi alle sue sorelle alle sue figlie alle sue amiche a lei stessa, se le sta aiutando o se sta andando nella direzione contraria e magari impari anche a dire NO ad un editore applicando l’obiezione di coscienza in difesa delle sue simili .
La saluto con grande amicizia e rispetto

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Mauro Rescia 14 Febbraio 2020 - 10:45

Ottimo articolo

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Chudy La Rosa 15 Febbraio 2020 - 9:52

Vorrei leggere il libro di Rula per farmi una mia opinione. Ma se fosse vero che ci sono incongruenze così eclatanti, sarebbe un brutto boomerang che si rivolterebbe contro le donne stesse. La prossima donna disposta a denunciare pubblicamente su un palco importante potrebbe essere presa in giro e giudicata come “un’altra che inventa orrori per farsi pubblicità”, restandole importanza ad un tema così importante; per la gioia di uomini violenti di ed assassini.

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Guglielmo Racioppi 16 Febbraio 2020 - 8:44

Mi vergogno per chi ha scritto questo articolo
Una analisi, un confronto con scritti precedenti della Jebreal con il tentativo di SMINUIRE il suo messaggio contro la violenza sulle donne
Solo perché detto da una donna, solo perché immigrata palestinese, solo perché accussa di violenza colui che aveva le chiavi di casa
Anche se inventato tremendamente vero
Spesso sono i compagni ad uccidere le donne
Basta questo ed avanza per rimanere in doveroso silenzio

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