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La nuova emigrazione italiana /4: tutta la ricchezza perduta

by La Redazione
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Quarta parte della nostra inchiesta sugli italiani costretti a fuggire all’estero
Qui la prima parte dell’inchiesta
Qui la seconda parte dell’inchiesta
Qui la terza parte dell’inchiesta
Roma, 18 mar – Gli italiani da sempre sono andati a cercar fortuna all’estero. Dal 1870 al 1970 si sono registrati circa 27 milioni di espatri. I discendenti italiani oggi nel mondo sono stimati tra 60 e 80 milioni, oltre i circa 5 milioni di italiani di passaporto. In quest’ultimo decennio il fenomeno dell’emigrazione italiana si è fortemente riattivato, invertendo il modello precedente, dal 1970 al 2005, caratterizzato invece da un saldo migratorio negativo.
Dai diversi dati Istat/Aire (cancellazioni di residenza e iscrizioni negli elenchi dei residenti all’estero) si rileva un aumento costante dei flussi di nuova emigrazione dall’Italia, in particolare dal 2006 in poi. Secondo i dati Aire, il numero di italiani all’estero è passato da 3.106.251 (2006) a 4.636.647 (2015), con una crescita del 49,3% in 10 anni. Circa 1,45 milioni in più. I dati aggiornati dovrebbero registrare un aumento almeno analogo a quello tra 2014-2015 (oltre 150mila), per cui dovremmo attestarci attualmente intorno ai 4.8 milioni. L’aumento riguarda tutte le aree: (+ 508.000 EU28) – (+ 809.000 Americhe) – (+127.500 Resto del mondo).
Secondo l’Aire, il motivo delle registrazioni all’anagrafe è così ripartito: 52,7% per espatrio e/o residenza all’estero, 39,2% per nascita e registrazione nell’archivio di stato civile, 3,5% per reinserimento da irreperibilità, 1,3% per trasferimento da altro paese estero o consolato e 3,3% per acquisizione di cittadinanza italiana.
Negli ultimi 10 anni, la crescita dei nuovi esodi è stata costante e si è passati da 39.155 cancel-lazioni di residenza all’anno per espatri del 2004 agli oltre 100.000 nel 2014. Nello stesso lasso di tempo (10 anni) risultano quindi emigrati definitivamente all’estero circa 600.000 italiani.
Dunque, come scrive Pugliese (in La nuova emigrazione italiana, Ca Foscari 2015) “La crisi in corso – si sa – ha investito diversamente i diversi Paesi e le diverse regioni. E l’Italia rappre-senta una delle aree più colpite. Non c’è da meravigliarsi, dunque, se la presenza italiana all’estero risulta aumentata sia se si considerano i dati dell’Aire sia se si considerano i dati Istat sui movimenti anagrafici della popolazione. Anche per l’emigrazione all’estero la ripresa non è degli anni della crisi e neanche degli ultimi anni, ma certamente si può dire che la crisi ha potenziato l’effetto di spinta. Come si diceva, i dati relativi alle cancellazioni anagrafi-che (anzi ai saldi: iscritti meno cancellati) forniscono solo una semplice indicazione del fenomeno, che di certo è di portata superiore.
Ma ciò che conta è l’esistenza della ripresa, fatto piuttosto imprevisto fino agli inizi della crisi negli anni scorsi. Così come è sorprendente il fatto che la principale provenienza non sia più il Mezzogiorno bensì il Centro-Nord, segno anche degli effetti della crisi sull’intero territorio nazionale. Come è già stato autorevolmente spiegato, in Europa la crisi è ormai limi- tata ai Paesi mediterranei. E questo si riflette anche sulla situazione degli immigrati.
“I flussi di nuova emigrazione che si registrano nell’ultimo decennio, sono determinati esclusivamente dal mercato, sia all’interno della UE (definita come nuova mobilità legata al mercato unico e agli accordi di libera circolazione-trattato di Schengen), sia oltre oceano. Non vi sono specifici accordi bilaterali, né accordi “compensativi” tra paesi erogatori e paesi accettori.
Non vi sono, sul piano istituzionale, misure di orientamento e accompagnamento specifico dei nuovi migranti alla partenza; quelli all’arrivo sono lasciati alla capacità individuale del singolo lavoratore e al gradimento di queste qualità che si registra nel mercato del lavoro del paese di accoglienza. Questo gradimento è determinato dal livello di qualificazione e di competenze di cui è portatore il singolo migrante.
Siccome le modificazioni del mercato del lavoro risentono dei movimenti di capitale a livello globale (che sono sempre più rapidi), i flussi di emigrazione li seguono e si muovono verso i diversi paesi che di volta in volta risultano più appetibili sul piano delle opportunità.
Analogamente, l’integrazione nei paesi di arrivo è legata a queste qualità individuali differen-ziate, per cui è difficile parlare di movimenti di nuove collettività migranti che, come avvenuto nel dopoguerra, assumono una progressiva consapevolezza della loro funzione all’interno del mercato del lavoro e della società di accoglienza e la trasformano in coscienza sindacale e politica. Ciò era invece possibile all’interno di una configurazione produttiva fordista che richiedeva l’”operaio-massa”. Oggi siamo invece in un contesto di “anomia e individualismo migratorio”.
Da questo punto di vista e in termini di insediamento nei paesi di arrivo, la nuova emigra-zione, pur con livelli culturali e di competenze molto più elevate, torna ad assomigliare a quella di fine ‘800 e inizio ‘900.
La nuova emigrazione può essere considerata come una della più significative manifestazioni della crisi attuale del paese (e anche degli altri paesi del sud Europa). E allo stesso tempo una delle manifestazioni più preoccupanti della proiezione declinante dell’Italia nello scenario in-ternazionale. Ed è forse (una valutazione che lasciamo agli storici) la conferma di una caratte-ristica strutturale dell’ incapacità di valorizzazione del proprio capitale umano, del nostro paese. Per i seguenti motivi:
a) medio-alta scolarizzazione della nuova emigrazione (oltre il 60% risulta diplomato o lau-reato)
b) la nuova emigrazione si sviluppa in uno scenario globale di flessione e di crisi economica e non di sviluppo, come avvenuto nei periodi 1900-1915 o 1945-1970.
c) la nuova emigrazione si sviluppa in uno scenario di flessione demografica del paese (accanto ad una parallela flessione che riguarda anche gran parte dei paesi che costituiscono meta di arrivo degli italiani) e non, come avvenuto dei periodi precedenti, di crescita e surplus demografico.
L’impressione è che quindi ci si trovi di fronte ad una nuova tipologia di migrazione che potrebbe essere definita “estrattiva” o di drenaggio di risorse, analogamente a quanto si definisce con questo termine, lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali nei paesi periferici, ripreso negli ultimi decenni, da parte del grande capitale multinazionale che trova la sua collocazione solo in alcuni paesi guida, e in contrasto con ipotesi alternative di sviluppo che compendiano la possibilità di una crescita sostenibile dal punto di vista sociale ed ecologico. Cioè di un equilibrio tra risorse disponibili ed paesi/aree/continenti. Ovviamente, questo è un discorso che riguarda sia la nostra nuova emigrazione che l’immigrazione terzomondiale verso l’Italia e l’Europa.” (Appunti per relazione seminario Fondazione Di Vittorio, 12 Aprile 2016 Rodolfo Ricci (FIEI – Federazione Italiana Emigrazione Immigrazione)
Gian Piero Joime

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