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Addio sensei Matsumoto, ultimo grande aedo

by Carlomanno Adinolfi
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Roma, 20 feb – Stamattina siamo stati svegliati da una notizia terribile. Una settimana fa, il 13 febbraio, è venuto a mancare all’età di 85 anni l’immenso Leiji Matsumoto. A darne notizia – in Giappone è prassi che le morti vengano annunciate dalla famiglia o dagli amici dopo alcuni giorni – è stata la Toei Animation, la casa d’animazione che ha prodotto tutte le opere del maestro. “Il papà di Capitan Harlock”. Così lo stanno definendo tutti i media italiani, legandolo indissolubilmente al suo personaggio più famoso e iconico. Mai definizione fu più riduttiva.

Leiji Matsumoto, oltre Capitan Harlock

Leiji Matsumoto non era un mangaka, non era un autore, non era un disegnatore, non era un narratore. No, Leiji Matsumoto è stato forse l’ultimo grande aedo che l’umanità abbia conosciuto. Un Omero dagli occhi a mandorla, se così vogliamo definirlo. Le sue opere, infatti, non erano semplici manga o normali serie animate, ma erano veri e propri poemi epici. Il bambino che si trova di fronte all’Arcadia o al Galaxy Express rimane a bocca aperta, capendo poco di quello che vede e che sente per la complessità dei dialoghi e per la profondità degli argomenti trattati, eppure sa di trovarsi davanti a qualcosa che fa parte di un altro mondo, di un mondo che attinge alla fonte diretta dei sogni e della fantasia. Il ragazzo che segue le gesta di Harlock e di Susumu Kodai si trova di fronte a esempi guerrieri ed eroici che hanno oltrepassato il tempo, immortali, fin dall’alba dei tempi e che con un solo episodio riempiono quel vuoto creato dall’educazione egalitaria, debole e sradicante dei giorni nostri. L’adulto che rivede con piacere le gesta degli idoli della sua infanzia scopre che molto di quello che ha letto per formare la sua idea del mondo non ha fatto altro che dare forma a una scintilla che era stata già accesa stando davanti alla tv e assistendo al decollo dell’Arcadia o della Yamato.

Non vi è dubbio che Leiji Matsumoto, da poeta e artista poliedrico qual era, fosse un tramite delle energie cosmiche di cui ha trattato in tutti i suoi racconti. Un demiurgo che ha infuso echi immortali in opere altrettanto immortali, che come pochissime altre hanno saputo attraversare generazioni diverse con la stessa passione. E forse lo ha sempre saputo lui stesso, fin da quando giovanissimo era salito su quel treno a vapore C-62 che collegava la regione del Kyushu a Tokyo – e sulle cui fattezze sarebbe nato poi il Galaxy Express – per firmare il suo primo contratto. Allora il ragazzo che all’anagrafe si chiamava Akira scelse per sé il nome d’arte di Leiji: “guerriero zero”. Un samurai che si pone sul punto eterno, immobile, da cui promana tutto e che tramite l’azione della sua spada, o della sua penna, espande le verità eterne che la sua mente ha colto in immagini e le consegna alle generazioni future.

Nel nome del Bushido

Le opere di Matsumoto formano un reticolo in cui ogni storia è indipendente ma dove tutto è collegato. Le serie di Capitan Harlock risultano tutte collegate tra loro, seppur in modo non lineare. Ma gli stessi personaggi li vediamo entrare tangenzialmente anche in Galaxy Express 999, l’opera monumentale che è forse la più importante di Matsumoto dal punto di vista contenutistico e filosofico. E gli stessi personaggi li ritroviamo in varie incarnazioni nei più disparati racconti, da Maetel Legend a Queen Esmeraldas, le saghe con le protagoniste femminili di questo universo le cui vite si intrecciano nella saga di Harlock e Galaxy Express, fino a manifestarsi come pistoleri in Gun Frontier, piloti della Luftwaffe in The Cockpit, soldati spaziali come in Cosmo Warrior Zero – titolo che richiama il significato del nome d’arte di Matsumoto – e nel manga ritroviamo un’apparizione dei pirati spaziali anche nella Corazzata Spaziale Yamato 2199, la meravigliosa saga eroica che riesuma la più grande nave da guerra giapponese per combattere nello spazio e andare alla ricerca di quelle entità cosmiche femminili, che permeano tutta l’epopea del grande autore (Maetel, Aurora, Starsha, Teresa, Mime) sotto il comando dell’intrepido ammiraglio Okita, disegnato con le fattezze del padre dell’autore,.

In questo universo fatti di mondi che si intersecano prendono vita i principi immortali del Bushido, che Matsumoto stesso ha affermato essere stato una delle sue più grandi fonti di ispirazione e che hanno dato vita al suo motto personale che ha espresso ospite a Lucca, nel novembre del 2018: “Siamo nati per vivere e la vita è fatta per essere vissuta, non è solo il processo per arrivare alla morte. Qualunque cosa succeda, continuerò a combattere”.

Le gesta eroiche dei protagonisti ma anche di molti antagonisti – non è raro, infatti, che nelle opere di Matsumoto gli avversari degli eroi siano eroi anch’essi, come i Gamilasiani avversari dei terrestri in Corazzata Spaziale Yamato 2199 o come molti nemici di Harlock stesso – compiono sembrano usciti dai racconti mitologici o dagli aneddoti di guerra. A tenere i nodi di questa rete cosmica è, ovviamente, Harlock, l’eroe simbolo di Matsumoto. Monocolo, percorritore dei cieli cosmici, conoscitore dei segreti più profondi dell’universo e sempre accompagnato da un corvo nero, Harlock è di fatto un avatar di Odino, tanto che in un’altra opera di Matsumoto vivrà le avventure di Sigfrido con le musiche di Wagner come colonna sonora.

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Un viaggio in divenire

Storie che si alimentano l’una dell’altra, storie che generano altre storie con lo stesso principio della Storia Infinita, come dimostra l’ultimo lascito di Harlock nel finale della prima saga: “Costruite una nuova Storia, una Storia che parta da voi”. Una storia che non può avere fine, come il codice 999 che, anch’esso, appare in tutte le opere di Matsumoto e che per ammissione dello stesso autore indica l’incompiutezza che spinge sempre in avanti per continuare a costruire. “1000 sarebbe stata la compiutezza. Invece 999 indica un viaggio in divenire, un viaggio a cui manca ancora qualcosa, la necessità di dover andare ancora avanti per raggiungere l’obiettivo. In un certo senso è anche simbolo della giovinezza, che è ancora qualcosa di incompiuto ma che è simbolo della vita che deve ancora essere vissuta, della pulsione che deve spingere ad andare avanti”. Storie che si separano per poi convergere “nel punto in cui gli anelli del tempo si ricongiungono”, in quell’infinito cosmico dove ora è in viaggio Leiji Matsumoto, alla guida dell’Arcadia e sventolando una bandiera con un teschio pirata su campo nero, tornato finalmente nella sua forma originaria che non è altro quella che ha sempre raccontato nelle sue storie.

Carlomanno Adinolfi

 

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