Roma, 14 dic – Il 14 dicembre 1932 nasce a Laragne – piccolo comune delle Alpi francesi – Albert Spaggiari, uomo d’avventura e “cervello” della grande rapina di Nizza, effettuata ai danni della filiale locale della Société Générale. Dopo un’infanzia e un’adolescenza segnate dalla morte del padre e dalla guerra mondiale, nel 1949 Spaggiari – di origini italiane – scappa di casa per provare a unirsi alla banda di Salvatore Giuliano, che vedeva come un liberatore della Sicilia. All’età di 18 anni invece decide di arruolarsi come parà nell’esercito francese per combattere le forze di Ho Chi Minh in Indocina. Dopo 4 anni però viene arrestato per una rapina a un bordello, per poi ritornare in Francia nel ’57 grazie ad un’amnistia. In questi anni conosce sua moglie Marcelle, con cui viaggerà anche in Senegal per motivi professionali.
Spaggiari, un destino da avventuriero
Nel 1960 ritorna in Francia, e nello stesso anno si unisce all’OAS (Organisation de l’armée secrète), un’organizzazione paramilitare che si opponeva all’indipendenza dell’Algeria e a favore delle proteste dei Pied-Noir. L’anno successivo la militanza lo porta anche a partecipare a un attentato al generale De Gaulle, non attuato perché non autorizzato dai vertici dell’OAS. La militanza lo porta nuovamente in carcere l’anno successivo, quando viene arrestato per reati politici in una tipografia clandestina dell’OAS. Libero nel ’65, Spaggiari apre uno studio fotografico e si trasferisce in una piccola fattoria nell’entroterra di Nizza, continuando a viaggiare e conducendo una vita normale. Tuttavia, lo spirito dell’avventuriero continua a ribollire nei panni della quotidianità e nel 1976, prendendo ispirazione da un libro, inizia a pianificare la rapina alla filiale nizzarda della Société Générale.
La rapina del secolo
Prende contatti con personalità di spicco della criminalità marsigliese e chiede un aiuto a qualche suo vecchio camerata, pianificando tutto nei minimi dettagli. Per un mese e mezzo lui e la sua banda scavano nelle cloache cittadine un buco di 8 metri che li porti al caveau principale della banca. Il 16 luglio 1976 riescono finalmente ad entrare. Con qualche intoppo riescono a scassinare 371 cassette di sicurezza, rubando denaro e oggetti preziosi per un totale stimato di 30 milioni di euro odierni. La mattina seguente i dipendenti della banca troveranno un caveau tappezzato di immagini pornografiche, con centinaia di oggetti di scarsi valore lasciati a terra ed una frase, che passerà alla storia, scritta su un armadio proprio da Albert: “Senza odio, senza violenza, senza armi”.
Non dura molto però la fuga di Spaggiari, che viene arrestato il 27 ottobre dello stesso anno all’aeroporto di Nizza. Dopo un anno di interrogatori inconcludenti però torna in libertà grazie a un’evasione rocambolesca e spettacolare. Durante uno dei tanti interrogatori con il giudice, si avvicina con un pretesto alla finestra e salta dal secondo piano del Palazzo di Giustizia, atterrando su una Renault 4, per poi scappare in moto grazie a un suo complice.
L’ultima beffa
Inizia così la latitanza di Spaggiari. Dapprima a Parigi, dove conoscerà Emilia De Sacco, la donna che lo accompagnerà per il resto della sua vita. Fugge poi in Spagna e in Sud America, dove entra in contatto con diversi esponenti del fascismo italiano, spagnolo e francese. Infine si trasferisce con Emilia in Italia, nel bellunese. Nei 12 anni di latitanza continua a viaggiare, anche in Francia di tanto in tanto, beffando la polizia francese e l’Interpol. Scrive 3 libri autobiografici di discreto successo e si concede a qualche intervista.
Negli ultimi anni di vita passa quasi da uomo d’azione a uomo di pensiero, ormai stanco e forse quasi pentito della vita da latitante. Personaggio eccentrico e solare, vicino al fascismo ma allo stesso tempo anarchico, amante della vita e del proprio Paese così come dell’avventura. Viene definitivamente stroncato da un cancro il 10 giugno 1989, morendo da uomo libero. Sua madre, una sua cugina e la sua amata riporteranno di nascosto la salma in Francia, proprio in quel Paese dove era stato condannato all’ergastolo, per seppellirlo nel cimitero di famiglia. Questa sarà l’ultima grande beffa dell’avventuriero Albert Spaggiari.
Andrea Bardelli
2 comments
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Direi che la storia di A. Spaggiari insegna anche qualcosa d’ altro, più importante.
Teatro, cinema, fumetti, ecc., soccombono di fronte a storie individuali o di gruppo, riportate dai protagonisti in prima persona. Sono giunto a ritenere che ciascuno di noi, quantomeno verso la conclusione della propria esistenza, debba essere posto nella condizione di scrivere o far scrivere la propria storia. La storia di una custode di condominio della metropoli certo non risulterebbe rocambolesca, avventurosa, di valore e coinvolgente come quella di A. Spaggiari, ma avrebbe comunque il pregio di offrire uno spicchio di verità che altrimenti rimarrebbe nascosto per sempre. Più chiaramente e sostanzialmente, la comunità non ha bisogno di pilotanti, teatranti, attori, disegnatori, spesso comodi e strumentali, per intrattenimenti superficiali perditempo e strizza-cervelli. La vita è corta, la storia che ci interessa ed interessa è la nostra, non quelle “storielle” che ci vogliono propinare (per guadagnare). Perlopiù, i potenti, taroccano la propria vita, quella degli altri, la fanno rappresentare come vogliono loro, da chi vogliono loro.
Con A. Spaggiari c’è stata una eccezione (fortunatamente non l’ unica), per sua autonoma esemplare energia.
Cominciai a convincermi definitivamente così quando lessi, non disinteressatamente, il testo “latitante”. Oggi appare, in lettura gratuita, su latitante.altervista.org