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A caccia di bellezza: la Cappella Sansevero di Napoli

by La Redazione
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Napoli, 24 mar – Nulla come la Cappella Sansevero racconta la poesia mistica della città di Napoli.

Sculture, affreschi, elementi architettonici e simbologie: la Cappella Sansevero è un’enciclopedia dello stupore artistico. È umanamente impossibile non essere avvolti e al contempo travolti dall’ambiente una volta varcata la soglia: tutta la magia della città partenopea risiede in questo capolavoro iniziato nel 1539 per volere dei principi di Sansevero, e terminato quasi due secoli dopo nel 1766.

Il Cristo velato

cristo velatoParticolarmente celebre per ospitare il Cristo velato, mirabile scultura collocata al centro della navata. Opera che Inizialmente doveva essere realizzata da Antonio Corradini, il quale però morì nel 1752 dopo aver eseguito solo una bozza in terracotta del Cristo. Fu così completata da un giovane artista napoletano, Giuseppe Sanmartino. La trasparenza del velo marmoreo del cristo è un prodigio che sconvolge per la tecnica e colpisce nell’emotività più recondita. L’opera risulta commuovente anche ai non credenti per la sua sovrannaturale bellezza. Testimonianza pura della genialità dell’artificio umano.

Conosciuta anche come Chiesa di Santa Maria della Pietà, la Cappella Sansevero ebbe la funzione di luogo di culto privato per la famiglia ma anche come mausoleo della stessa. La leggenda vuole che la chiesa sia stata eretta su un antico tempio dedicato alla dea Iside, ma la vera origine della cappella risale all’omicidio compiuto da Carlo Gesualdo da Venosa ai danni di Maria D’Avalos, sua moglie, e Fabrizio Carafa, amante di lei, figlio di Adriana Carafa della Spina, prima principessa di Sansevero. A causa del lutto, la madre di Fabrizio Carafa fece innalzare questa cappella alla Madonna per chiedere la salvezza dell’anima del figlio. L’iscrizione Mater Pietatis sulla volta, contenuta in un sole raggiante, rappresenterebbe il voto alla Madonna.

Fu però Alessandro di Sansevero, Patriarca di Alessandria e Arcivescovo di Benevento, a dar vita ad un progetto ambizioso per l’arricchimento del sito.

Le meraviglie del barocco napoletano con cui la Cappella fu arricchita incantano ancora oggi migliaia di visitatori da tutto il mondo, ecco perché conviene giungerci di buonora la mattina presto, appena la chiesa apre i battenti, in modo da evitare lunghe code e poter godere della magia del luogo in un’atmosfera più intima.

Misteri e segreti

La storia centenaria della Cappella include diversi misteri e segreti. Poiché Raimondo di Sangro fu alchimista, molti ritennero che la trasparenza del sudario del Cristo di Sanmartino fosse il risultato di un processo alchemico di “marmorizzazione” compiuto dal Principe.

Oltre al Cristo, il Principe fece erigere il monumento della Pudicizia, scultura velata alla memoria della madre. La donna coperta dal velo può essere un riferimento alla velata Iside, Dea molto cara alla massoneria. Il pavimento, inoltre, presenta un tema a labirinto con possibili simbologie legate all’iniziazione dei Cavalieri Templari.

In più, nei sotterranei della Cappella si trovano due veri scheletri appartenenti ad un uomo e ad una donna, avvolti entrambi dall’apparato circolatorio in eccezionale stato di conservazione. Realizzati attorno al 1763, non si è scoperta la tecnica utilizzata; la riproduzione del sistema circolatorio è stupefacente per la precisione rispetto alle conoscenze anatomiche dell’epoca.

statua del disingannoAltra opera scultorea che compone lo splendore interno è la Statua del Disinganno. Realizzata da Francesco Queirolo, il Principe la dedicò al padre Antonio, che rimasto vedovo, lasciò il figlio Raimondo a suo nonno. Dopo anni di avventure, vizi e piaceri, pentito per la sua condotta, il padre tornò a Napoli per intraprendere la vita sacerdotale. L’opera rappresenta un uomo che si libera da una rete (dettaglio indescrivibile), metafora del peccato, aiutato da un angelo alato che indica il globo ai suoi piedi, simbolo dei vizi mondani. Qui è poggiata la Bibbia, forse ennesimo riferimento massonico alle tre “grandi luci”. Sul bassorilievo del basamento è infatti raffigurato Gesù che restituisce la vista al cieco.

Il misterioso Principe di Sansevero morì nel marzo del 1771, si dice per aver inalato o ingerito sostanze tossiche durante un esperimento in laboratorio. Sulla sua lapide presente nella Cappella l’iscrizione non venne incisa ma fu realizzata con solventi chimici preparati da lui stesso.

La magia della Cappella Sansevero non termina con la vita dei suoi Principi. Questo tempio alle arti e al concetto spirituale tipicamente barocco del Memento Mori perdurano tutt’oggi, e visitare tale ambiente è un rito obbligatorio per chi è in cerca della bellezza esoterica più stupefacente che l’Italia può offrire.

Alberto Tosi

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