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De Sade e la disciplina del dolore

by La Redazione
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DE_SADE151Roma, 6 nov – «La sinistra in teoria doveva essere la più progressista sul sesso, in realtà sono i più bacchettoni, mi hanno sempre criticato di brutto». Così si è espresso qualche mese fa in un’intervista Rocco Siffredi. Non dovrebbe dunque stupire il fatto che diverse personalità della cultura alternativa e politicamente scorretta come Elemire Zolla, Julius Evola e Jonathan Bowden abbiano in un modo o nell’altro affrontato l’opera del Marchese de Sade. Forse ha aiutato il fatto di essere collocati ai margini della cultura ufficiale e l’indipendenza da qualsivoglia ricatto di natura politica o economica, fatto è che la cultura di destra più o meno radicale non ha mai considerato il sesso un vero e proprio tabù. Basti pensare a quel campione di reazionarismo di Schopenhauer con la sua Metafisica dell’amore sessuale o le considerazioni estetiche di Kierkegaard per non parlare di D’Annunzio o Marinetti.

La cultura del corpo e della “grande salute” nietzscheana sono da sempre patrimonio di un mondo culturale eretico e all’avanguardia, capace di anticipare temi di portata storica e causare cambi di paradigma. Ecco quindi che risulta di indubbio interesse la nuova edizioni per i tipi de La vita felice ed. della piccola raccolta Strenne filosofiche a firma Marchese de Sade (166 p., 11,50 €).

Si tratta di tre brevi testi della giovinezza del “Divino”, dove viene principalmente affrontato il tema a lui caro del libero arbitrio e il rifiuto radicale della religione e della morale comune. Secondo de Sade l’uomo dell’illuminismo, in quanto uomo libero e razionale deve rispondere senza freno agli impulsi che la sua natura corporea gli suggerisce, senza porsi alcun freno di tipo morale: «Sono stato creato dalla natura con gusti molto vivaci e assai robuste passioni; messo in questo mondo con l’unico scopo di abbandonarmi a quelli e soddisfare queste». D’altronde la morale è frutto di una percezione errata, di una concezione oramai superata di Dio che con il nuovo corso politico e culturale dovrà essere liquidata per sempre. Liberato da questi vincoli immaginari l’uomo potrà allora godere pienamente di sé e di tutto ciò che vorrà.

Illuminista repubblicano radicale, de Sade spinge alle estreme conseguenze la filosofia illuminista, finendo coll’essere messo all’indice dagli stessi rivoluzionari. La sua visione filosofica, se parte da presupposti egualitari e moderni in senso lato, finisce tuttavia col confinare con una visione del mondo e dell’uomo quasi eroica e suprematista. Nell’interessante saggio conclusivo Il sadismo di Elémire Zolla emerge la complessità della visione sadiana, dove le emozioni vengono sradicate e il corpo diviene oggetto di calcolo e organizzazione. Il sadico stringe le redini di un’autorità violenta che oggetti vizza l’altro, lo sottomette e domina il corpo come fosse una macchina. A un passo dalla distruzione tuttavia, nota Zolla, vi è uno scatto anarchico e sovversivo, lìappello all’«eroe di pura energia». Smantellata la morale, disintegrata l’autorità politica, scomposto l’ordine sociale, imbrigliato il corpo e messe a tacere le troppo umane emozioni, si apre il regno della belva libera e vigorosa. È infatti l’uomo forte e al di sopra dei vincoli sociali a poter stringere nella sua mano gli oggetti del suo desiderio. È il suo potere a permettergli di fare ciò che vuole, di agire secondo la sua libera volontà. Altrove il Marchese dirà: «la crudeltà è l’energia dell’uomo non corrotta dalla civiltà» – a suo modo una ricerca estrema dell’autenticità.

Come nota Zolla, in de Sade vi è una messa in crisi dell’Illuminismo. Si raggiunge la rottura nel momento in cui l’amore viene disintegrato, disperso in mille amplessi meccanici e puramente istintuali. Il corpo diventa un oggetto di pura fisicità, una macchina da cui sono abolite le emozioni umane.

Totalmente nichilista ed estremo, de Sade cortocircuita l’Illuminismo conducendolo alle sue estreme conseguenze ed esplodendo verso confini inattesi le premesse del suo discorso. Come risulta evidente, non vi è spazio per l’ottimismo progressista, ma solo una raffinata meccanica che confonde dolore e piacere in ossequio a impulsi ferini. Una possente tematica volontarista e quasi social-darwinista tornerà anche nella discussione razionalista e repubblicana de La filosofia nel boudoir, costringendo quindi la ragione a piegarsi al fuoco appassionato di una filosofia del sangue e della libertà totale.

In qualsiasi modo si voglia considerare il de Sade e la sua opera, è impossibile non riscontrare nei suoi scritti una comunanza, consapevole o meno, con il percorso esoterico verso la conoscenza detto de “la mano sinistra”. La via della mano sinistra è la pratica tantrica di illuminazione. Attraverso l’esaltazione dei sensi e la pratica sistematica di particolari discipline questa via si prefigge il conseguimento dello stato di “mente vuota, cuore pieno”. Al di là delle specifiche dottrine orientali, nel de Sade può cogliersi una tensione tutta corporea a un qualcosa di ulteriore. Rinunciare alla piccola vita per nascere a una nuova vita. A tal proposito anche Julius Evola aveva colto nelle terribili fantasie del francese la tensione all’estasi, cioè, letteralmente, a un’uscita da sé.

L’esaltazione del corpo, la centralità dei fluidi, del sangue e della violenza nei suoi racconti non sembrano fine a se stessi. L’impiego del corpo in una sistematica disciplina di disumanizzazione e annientamento della morale non è al contempo una negazione della vita. La forza vitale appare piuttosto esaltata dalle tremende fantasie del Marchese, ma per potersi rigenerare deve passare attraverso le forche caudine di torture e piaceri indescrivibili; attraverso un processo di distacco dal proprio piccolo sé verso un potenziamento vitalistico.

In fondo ogni dottrina del rifiuto del corpo e della realtà – il silenzio della mente -, finisce con l’ossessionarsi per ogni aspetto del corpo e del mondo circostante, e allora il rifiuto della razionalità comune torna, sotto mentite spoglie, nella sua forma più morbosa e problematica. All’opposto, il Marchese percorse a suo modo una via alternativa, pagando sulla propria pelle crimini veri o presunti, ma senza mai rinnegare la sua visione delle cose.

Francesco Boco

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