Roma, 27 ott – Pensate sia facile, nella sterminata produzione di film ambientati nella Capitale, sceglierne “solo” cinque? Non lo è affatto. Perché Roma, come ebbe a dire Ennio Flaiano (mica pizza e fichi): “E’ inconoscibile, si rivela col tempo e non del tutto. Ha un’estrema riserva di mistero e ancora qualche oasi”. E questo, badate bene, dopo averla definita il “garage del ceto medio d’Italia”. Adesso, a seguito di orribili fatti di cronaca e di una gestione cieca e mediocre, Roma viene dipinta la Capitale della violenza, della mafia, dei narcos, a seconda delle esigenze. Non è niente di tutto questo o forse è tutto questo e lo è sempre stata. Chi può dirlo? Non pensiamoci adesso, pensiamo a vederla attraverso gli occhi di chi un po’ l’ha amata (certo, più del nostro attuale sindaco).
5) La banda del Gobbo – Umberto Lenzi, 1977
Se non l’avesse girato Lenzi e non ne fosse stato “doppio” protagonista Tomas Milian, er cubano de Roma, che interpreta sia il criminale Gobbo sia il fratello – sì, proprio lui, Er Monnezza – La banda del Gobbo avrebbe l’allure di una tragedia shakespeariana. Vincenzo Marazzi è il Gobbo, efferato criminale romano, di ritorno da una lunga latitanza in Corsica. Sergio, detto “Er Monnezza”, è un meccanico, un tanghero da niente, ma lo adora. Quando il Gobbo viene tradito dai suoi compari, la sua vendetta sarà implacabile e a farne le spese, in parte, sarà l’ingenuo fratello. Venditti regala due capolavori alla colonna sonora (Sora Rosa e Roma Capoccia). Milian, sempre doppiato da Ferruccio Amendola, ha scritto i dialoghi dei due fratelli che interpreta, compreso il famoso monologo del Gobbo nella discoteca, quello pieno di risentimento per i ricchi.
4) L’imperatore di Roma – Nico D’Alessandria, 1987
Molti di voi non avranno visto questo film che, trattando della tossicodipendenza con un tratto molto lontano da quello di Amore tossico o di Trainspotting, viene considerato d’essai. Ma l’Imperatore di Roma non mostra solo la giornata di un tossicodipendente ma di come questi vive a contatto della città che lo ospita, suo malgrado, e a volte lo rifiuta. Vediamo una Roma che non esiste più e che esiste sempre di meno ogni giorno che passa. Gerardo Sperandini interpreta se stesso, il tossico Gerry. D’Alessandria dice di lui: “Quando iniziai il film il protagonista Gerardo Sperandini era internato all’ospedale psichiatrico di Aversa, dove il padre, maresciallo di polizia, lo aveva fatto rinchiudere andandosi a raccomandare personalmente dal giudice (“Per un po’ di tempo” – diceva – “perché si riprenda” – come ho raccontato nel film) e mi fu affidato dal magistrato di sorveglianza. Abbiamo vissuto insieme per 30 giorni, il periodo delle riprese, anche di notte perché era assolutamente rischioso lasciarlo da solo.». Sperandini, l’ultimo imperatore di Roma, è morto di diabete il 30 dicembre del 1999. Non li ha mica visti quegli “anni duemila”. Per un soffio.
3) Una vita violenta – Paolo Heusch e Brunello Rondi, 1962
Se si parla di Roma facciamocene una ragione: bisogna parlare delle tre P. Pier Paolo Pasolini. Questo film infatti è tratto da uno dei suoi romanzi più belli, che porta lo stesso titolo. Il protagonista è Tommaso, un ragazzo di Pietralata, interpretato da Franco Citti. Tommaso è un delinquentello ma i suoi piccoli furti lo portano a vedere una violenza che non vuole vedere e quando si innamora di una ragazza della Garbatella, Irene, pensa di poter cambiare vita. Quando questo non succede, e lui prova a recuperare in maniera “romantica”, la violenza torna, come una condanna. Tommaso la sconta, e Roma la sconta con lui. In questo caso sì, Roma è violenta così come lo sono i suoi figli. In più, grazie a questo film (come vale d’altronde per gli altri elencati) potete vedere zone di Roma sotto un’altra luce e in un’altra epoca.
2) Lo chiamavano Jeeg Robot – Gabriele Mainetti, 2015
Non ha fatto in tempo ad uscire che è diventato già un cult questo film e spiace per i detrattori che, quando un film italiano tenta il grande botto (e magari lo fa, di critica e d’incassi) devono rompere le uova nel paniere a tutti. Un film di supereroi ambientato a Roma? Perché no? Specialmente se l'”eroe” in questione, lo sporco ladro Enzo Ceccotti, non è affatto senza macchia e senza paura. E quando scopre di avere dei poteri sovrumani la prima cosa che fa è quella di mettersi a sradicare i bancomat. Ma ogni eroe – anche quando, appunto, non lo é – ha una nemesi, perché al peggio non c’è mai fine. E la sua è lo Zingaro, interpretato da uno strepitoso Luca Marinelli. Capirà Enzo di essere un eroe? Chi può dirlo …
1 Io la conoscevo bene – Antonio Pietrangeli, 1965
Incredibile, eh? In questa classifica non c’è né La grande bellezza, né La dolce vita. Perché se volete un elenco dei film più celebrati e più conosciuti con il quale trovarvi d’accordo, questo non è il posto giusto. Perché non dovete trovarvi d’accordo: ma magari leggerete di un film che non conoscete e che potreste amare. Io la conoscevo bene è uno di questi. Interpretato da una giovanissima, stupenda, eterea Stefania Sandrelli, il film racconta la storia di Adriana, di umili origini, che si trasferisce a Roma dove tra un’ingenuità e l’altra cerca fortuna come attrice. E’ una storia triste perché Roma accoglie Adriana con le scintillanti luci del varietà per usarla, invariabilmente, usare la sua bellezza e la sua buona fede – a volte lei ne è consapevole, a volte no. Qui Roma è teatro e oppressione, una chimera che come molti altri (personaggi e persone) ci spinge sempre a testare il nostro limite per deluderlo la maggior parte delle volte. Vediamo qui la bella Roma di classe celebrata da Fellini una manciata di anni prima ma anche una Roma popolare: Adriana, infatti, vive presumibilmente a viale Marconi, almeno a giudicare dalla vista del suo terrazzo. Forse la Capitale è uno dei suoi “carnefici”? Vedere per capire.
Ilaria Paoletti
3 comments
Nei film ambientati a Roma imperversa il romanesco o, comunque, la cadenza locale. Bene, si dirà, sono ambientati a Roma ed è giusto così. Vero. Ma com’è che nei film ambientati a Torino non imperversa altrettanto il piemontese o, comunque, la cadenza locale? Questo fenomeno ha un nome: colonizzazione culturale. La sua implementazione (del tutto intenzionale) non è molto diversa da quella delle colonizzazioni culturali di natura internazionale (altrettanto intenzionali). Proprio per niente.
La conseguenza? Non sopporto più la parlata “alla romana”, quella che tanto mi divertiva quando, da ragazzino, seguivo i film con (per dirne uno) Montesano. La tv è stata colpevolmente meridionalizzata. La par condicio linguistica è stata deliberatamente calpestata. Poi si dice seminare odio — anche queste tecniche di colonizzazione culturale hanno un’efficacia formidabile nel seminare odio, sotto forma di campanilismi. La filmografia unilateralmente meridionalista ha fatto di me quel che non ero — un campanilista incallito. Complimenti per il bel risultato.
Immaginate gli effetti della ancor più perniciosa colonizzazione culturale (e fisica) che chi ha in mano le redini sta imponendo all’Italia tutta e in particolare al Nord. I “seminatori d’odio” sono coloro che IMPONGONO “presenze” in forme e misure intollerabili, piallando INTENZIONALMENTE l’identità culturale di intere aree geografiche. Ancora, complimenti per il bel risultato che, assai probabilmente, è esattamente quello voluto.
Per cominciare: nel cestino dell’immondizia la filmografia in romanesco o altri idiomi analogamente “invadenti”. Amen.
Articolo fatto benissimo,I film che conosco tra questi banda del gobbo e jeeg robot,che non mi stanco di rivedere entrambi.La considerazione sul sindaco che non ama abbastanza Roma io la girerei ai suoi cittadini dal piu’ ricco al piu disgraziato.Questo perche’ vedo anche io una citta’ in degrado soprsttutto di autostima di se
[…] è una pietra miliare del cinema italiano, è lui che ha inventanto il personaggio del Monnezza, interpretato magistralmente da Tomas Milian. In una recente intervista si rivela ancora molto lontano dalla … […]