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Firenze, dalle pagine de “Il Bargello” del 1934 una lezione: tornare confessori di una neofiorentinità eroica

by Saverio Di Giulio
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Firenze

Roma, 13 feb – Firenze, anno 1934. Dalle pagine de “Il Bargello”, organo della Federazione Fiorentina dei Fasci di Combattimento, ci si prepara alla cerimonia del 27 ottobre. Il Partito Nazionale Fascista ha fissato l’inaugurazione del “Sacrario dei Caduti per la Rivoluzione Fascista” di Firenze per il giorno antecedente le celebrazioni dell’anniversario della Marcia su Roma, ampliando la ricorrenza su più giorni. La città è in fermento. C’è grande attesa per l’arrivo di Benito Mussolini e di tutti i vertici del Partito e dello Stato. Gli squadristi fiorentini sono tra coloro che hanno donato il maggior contribuito di sangue nella difesa degli ideali nazionali nell’Italia turbolenta del primo dopoguerra, contribuendo in modo determinante alla conclusione del biennio rosso e alla vittoria sul Partito Comunista. Per questo motivo, al riposo dei 37 squadristi rimasti uccisi in quegli anni, onorati con l’appellativo di “Martiri”, viene dedicato un Sacrario all’interno della Basilica di Santa Croce. Tempio delle Itale glorie”, come la definì Ugo Foscolo, dove riposano, tra gli altri, Michelangelo Buonarroti, Niccolò Machiavelli e Galileo Galilei.

Il significato di questa scelta è chiaro: il Fascismo, religione politica basata sul culto della Patria, affianca i propri Martiri ai giganti della storia italiana, celebrando la memoria dei suoi più fedeli discepoli con una liturgia dal carattere mistico-spirituale in cui l’eroismo fascista, posto al centro del Rito, testimonia la ri-nascita di un nuovo modello di italiano, forgiato dalla pedagogia fascista.  Dimensione spirituale interiorizzata da studiosi e praticanti della Dottrina e della Mistica Fascista, ma difficile da trasmettere come consapevolezza di massa. Al Bargello, consci della responsabilità, dedicano all’inaugurazione della cripta un’edizione speciale, in cui emerge in modo netto l’anima del Fascismo in un paterno tentativo di trasmetterla a tutti, anche a coloro che Dante avrebbe bollato come ignavi.

Tra tutti gli articoli ne spicca uno redatto dal Direttore dell’Istituto di cultura Fascista Alberto Luchini, dal titolo “confessori della neofiorentinità eroica”. Lo scrivente evidenzia la polarità di Francesco Ferrucci e Stenterello. L’eroismo carismatico del patriota combattente, immanente nella stirpe di Firenze, come antitesi di Stenterello, comica maschera di Carnevale della città, ma anche termine indicante un carattere goffo, chiacchierone, pauroso, imbranato e rassegnato. Rappresentazione di un tipo umano realmente esistente.

La Toscana è il luogo geometrico del luogo geometrico Italia; Firenze è il luogo geometrico del luogo geometrico Toscana – scrive Luchini – Poiché ogni polo positivo presuppone un polo negativo corrispondente; è naturale e necessario che la Patria del Ferruccio sia anche quella di Stenterello. ‘Ogni fatto è una teoria’, diceva Goethe. E il Ferruccio fu ed è una teoria, contenente una lunga catena di fatti fiorentini, illuminante una luna discendenza di uomini fiorentini. Dalla controrivoluzione fascista del febbraio-Marzo 1921 fino alla concezione mondiale e prassi religioso-eroica di Cacciaguida. Da Farinata degli Uberti fino a Giovanni Berta.

Ma purtroppo anche Stenterello fu ed è una teoria. Ogni fiore fiorisce a forza di concio e un fiore perpetuo ha bisogno di letame perpetuo. All’eterno ferrucciano, costituisce riscontro, sotto il Cupolone, l’eterno stenterellesco. Non c’è da far nulla – sicché – in queste in presenza di queste immutabili condizioni? Si dovrà stare ad aspettare che piovano giù dal cielo i Ferrucci e gli Stenterelli, formulando voti, perché i Ferrucci siano dimolti e gli Stenterelli pochini? Tutto a rovescio. C’è tutto da fare. Sempre. Dipende da noi e soltanto da noi. Tutto si riduce, sempre, in qualunque città e parte del mondo in generale, ma a Firenze in modo speciale, a un problema di volontà.

Si consideri Firenze nella sua idea – prosegue Luchini – o nella sua melodia continua e quotidiana. Non c’è città meno casuale e più razionale, meno naturale e più volontaria. Qui ogni lineamento eterno ed ogni aspetto effimero è esclusivamente architettura umana, musica cosciente. La melodia continua della sua bellezza, visibile e morale, è soprattutto un atto di volontà di continuo.

Il principio creativo e attivo di Firenze è quello di Ferruccio, archetipo dell’uomo d’azione italiano. Principio dunque non regionale ma nazionale: non temporale ma universale. Quando Firenze lo riconosce – cioè conosce se stessa nel senso delfico e sacro: cioè osa esser se stessa – assurge a misura mediterranea di valori universali. La disgregazione di Firenze è Stenterello. Se prevale, Firenze cessa di affrontarsi col suo destino e mostra così di vergognarsi seco di sé medesima: scade allora a semplice capoluogo d’una provincia qualunque, annoiato dalle pratiche di ordinaria amministrazione anche nell’aspetto.

‘Ti pagano il ventisette? Dunque non t’hai a confonder d’altro’.

Nell’Anno XIII, a Firenze, Ferruccio vince e Stenterello resta dove deve restare, la penetrazione del Fascismo affonda tanto in estensione quanto in profondità. Non soltanto i suoi poeti e artisti, i suoi mecenati e banchieri – come nel Rinascimento – non soltanto una minoranza congiurata, sormontata da qualche individualità eroica e solitaria – come nel Risorgimento – ma tutto intero il suo popolo inquadrato sotto il segno dell’Aquila e del Fascio è oggi la base più naturale e sicura alla restituzione integrale d’una fiorentinità ferrucciana. Vale a dire italiana, universale. La vittoria attuale del Ferruccio, di certo, è stata preparata dalla Firenze garibaldina del Risorgimento, ed è stata maturata dalla Firenze volontaria della Grande Guerra. Ma è stata vinta nel Diciannove, nel Venti, nel Ventuno. Tre anni di vita pericolosa per gli Squadristi figli del popolo di Firenze, che non avevano letto Nietzsche, ma rieducavano eroicamente, attraverso la loro città, una Nazione come l’Italia, cioè la Civiltà umana. Con quei tre anni di loro vita pericolosa, e soprattutto in grazia del discender la morte a incoronare frequentemente la loro azione eroica, s’è potuto costruire, tutta di pietra garibaldina come la lapide dell’inno a Oberdan, la Firenze dell’Anno XIII.

Berta, Foscari, Bolaffi, Fiorini, Cinini, Bartolini, Montemaggi, Mariani, Pontecchi, Menabuoni, Rossi, Pericccioli e tutti gli altri Caduti fiorentini per la Rivoluzione Fascista. ‘Anime pure e ardimentose, pronte al sacrificio senza chieder nulla, che anticipavano nello Spirito e nel carattere la nuova Italia fascista’, come telegrafò, tre anni fa, Mussolini. Il loro sangue bolle e invita i vivi ad esser forti. S’ha il dovere d’obbedire al loro invito. Ché se Firenze è oggi di Ferruccio e non di Stenterello, ne siamo debitori a loro.”

Un debito che la nostra generazione non sta ripagando. Stenterello avanza inesorabilmente. La maschera è ormai praticamente dimenticata, fagocitata dal globalismo come del resto il Carnevale e tutte le tradizioni. Quel carattere pavido, disordinato e opportunista, invece, non è mai stato così diffuso. Anestetizzando le virtù umane, gli eroismi, le radici storiche, sostituendo la nostra Civiltà con il mercato globale e il consumismo, Ferruccio deve lasciar campo libero a Stenterello. L’abbrutimento della Firenze del Partito Democratico ne è la più emblematica rappresentazione. “Stenterello fu ed è una teoria – scrisse Luchini – dispensateci dall’esemplificare di quanti fatti e di quali persone concittadine si sia sostanziata e si sostanzi. Tanto più che sono cose a conoscenza di tutti”.

Saverio Di Giulio

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