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George Orwell, il primo vero punk

by Roberto Johnny Bresso
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Milano, 12 ago – Oggi ci occupiamo del passato che si è fatto futuro, superando di slancio il presente: oggi parliamo di George Orwell. Eric Arthur Blair (questo era il suo vero nome) nasce a Motihari, in India, il 25 giugno 1903, figlio di un funzionario dell’amministrazione britannica. Tornato in Inghilterra si iscrive all’esclusivo Eton College che però lascia per tornare nella terra natia ed arruolarsi nella polizia imperiale in Birmania. Ne esce fortemente disgustato, ma l’ambiente in cui è cresciuto e questa esperienza molto probabilmente serviranno a fargli conoscere dei meccanismi di gestione del potere e di controllo delle masse che all’epoca (ed ancora per diversi decenni) erano del tutto sconosciute alla quasi totalità dell’opinione pubblica, tantomeno del popolo. Decide di precipitare nei bassifondi di Parigi e Londra, ubriacandosi e vivendo di espedienti: si avvicina al socialismo e va a combattere in Spagna a fianco dei Repubblicani, ma torna in patria fortemente disgustato dagli stalinisti.

George Orwell, alla faccia del fair play

Da lì in poi la sua biografia è ben conosciuta e la potete trovare un po’ ovunque: La fattoria degli animali probabilmente ve l’hanno fatto leggere a scuola, quasi fosse un libro spensierato e tanti pensano che Il Grande Fratello sia un programma televisivo nel quale raggruppare un numero sempre più consistente di idioti per un lasso sempre maggiore di tempo nella stessa abitazione. Orwell, invece, era un perenne infelice che aveva compreso prima di chiunque altro che l’uomo era stato sconfitto dal sistema, che lui aveva potuto conoscere dall’interno per capire che ahimè there’s no future for you (sì, c’era arrivato molto prima del punk). Nel 1949 uscì 1984 e sembrava il delirio di un folle: senza l’invasione della tv (e figuriamoci poi di internet) pareva impossibile realizzare quello che il romanzo descrive invece così meravigliosamente.

Nessuno ci ha avvisato meglio di lui che un incubo ci avrebbe sopraffatto, che il bispensiero avrebbe invaso le nostre vite. E George ci fumava e beveva pesantemente sopra e scriveva saggi parlando di un pub idealizzato dove poter gustarsi, lontano dai mali del mondo, le sue amate English Lagers. Il troppo fumare e il vizio del bere accrebbero il suo decadimento fisico ed il cedimento di un’arteria polmonare ce lo ha portato via a Londra il 21 gennaio 1950, a soli 46 anni. E ci ha pure tramandato un aforisma sul calcio che andrebbe trasmesso in ogni stadio prima delle partite, altro che i pippotti morali di FIFA e UEFA: “Il calcio non ha nulla a che fare con il fair play. È tenuto insieme da odio, gelosia, arroganza, disprezzo di tutte le regole e sadico piacere nel commettere violenza: in altre parole è la guerra senza le sparatorie”.

Roberto Johnny Bresso

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