Roma, 12 ago – C’è un simpatico meme che ritorna ciclicamente sui social nel quale due fidanzatini assorti nei loro pensieri si interrogano silenziosamente: mentre lei è seriamente preoccupata che il suo lui possa avere un’altra, la controparte maschile è piuttosto impensierita dalle faccende della squadra tifata. Le nostre signore ci perdoneranno cotanta (apparente) superficialità ma, in fondo, è sempre stato così: se Rita Pavone nell’ormai lontano 1962 si domandava “perché, perché” la domenica la passasse sempre sola, sono ormai trent’anni che la lettera da Amsterdam più famosa del pallone italiano fa cantare i tifosi della Gradinata Sud di Genova. “Chissà com’è, adesso la domenica con lei”: l’ipotetico sostenitore lontano dai propri colori ricorda con amaro piacere i momenti passati insieme…alla Sampdoria. Proprio la compagine blucerchiata raggiunge oggi le settantasette primavere.
La Dominante, il precedente fascista
Nell’estate del 1946 la Sampierdarenese è iscritta al campionato di Serie A, ma versa in una critica situazione finanziaria. La concittadina Andrea Doria – realtà omaggiante l’omonimo ammiraglio – al contrario (e nonostante un portafoglio alquanto pingue) si ritrova fuori dalla massima competizione nazionale. Per dare continuità a queste due esperienze di calcio genovese, il 12 agosto verrà quindi sancita l’unione tra biancorossoneri e biancoblu. Ma facciamo un passo indietro.
A dirla tutta infatti, il sodalizio che si sarebbe poi storicamente contrapposto al Genoa, ha conosciuto un precedente, ossia quello della Dominante. Tra il 1927 e il 1930 – consigliate dal governo fascista, il cui obiettivo sportivo era quello di ottimizzare le forze, in particolar modo nelle grandi città – le due società diedero infatti vita alla breve e sfortunata esperienza neroverde.
Mantovani, un presidente perfetto
Giusta l’intuizione, non ancora maturi i tempi. Nel secondo dopoguerra il blucerchiato diventa l’unione cromatica più particolare di tutto lo Stivale e la Samp presenzia stabilmente in Serie A almeno fino alla fine degli anni ‘70. Durante il lustro cadetto però arriva quella che, per tutto l’ambiente doriano, sarà una figura di rottura rispetto al passato. L’imprenditore petrolifero Paolo Mantovani – ex addetto stampa – acquista la società e nel giro di poche stagioni porta Baciccia ai vertici del calcio italiano ed europeo.
Rendendola “forte in tutte le sue strutture” costruisce, mattone dopo mattone, una squadra capace di vincere lo scudetto (1990/91) e conquistare l’ultima finale di Coppa dei Campioni – nella stagione successiva. Pagliuca, Vierchowod, Lanna – oggi presidente – Dossena, il brasiliano Cerezo, Lombardo, fino ad arrivare a Vialli e Mancini. “Un visionario carismatico e straordinariamente coinvolgente” o ancora “un genio, il presidente perfetto” per utilizzare le parole dei gemelli del gol.
L’ultima grande Sampdoria
Alla morte di Mantovani (1993) succede il figlio. Il passaggio forzato coincide però con l’inizio di una congiuntura negativa, periodo che culminerà con una sanguinosa retrocessione sul finire del secolo scorso. Bisognerà aspettare il 2003 per rivedere i colori blucerchiati in Serie A e – nel giro di un biennio – nei rettangoli verdi d’Europa. L’accoppiata Cassano-Pazzini farà sognare nuovamente la Gradinata Sud, portandola in finale di Coppa Italia e ai preliminari di Champions League. Fragorosa quindi l’ennesima caduta.
Un anno in Purgatorio e via veloci verso l’era Ferrero, il quale per lo meno sembrava aver portato un poco di stabilità. Tempo imperfetto, come tutt’altro che ideale è stato l’addio al produttore cinematografico. Oggi la Sampdoria riparte – ancora una volta – dalla B. Per dirla con Goethe: non è forte colui che non cade mai, ma chi cadendo si rialza sempre…
Marco Battistini