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La grande guerra degli scrittori

by Claudio Siniscalchi
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grande guerra

La vasta galassia della letteratura riguardante la Grande guerra, coeva agli avvenimenti e successiva, rappresenta una vera e propria discesa all’inferno. L’elemento comune delle narrazioni è la distruzione. L’orrore per il disastro dell’umanità. Il soldato, con indosso qualsiasi divisa, è carne da macello. La potenza delle armi spappola e dilania i corpi. La terra inghiottisce senza sosta frantumati brandelli umani, animali, vegetali. L’ambiente è disseminato di crateri, arso dalle fiamme, reso invisibile dai fumi. Le lunghe attese nelle trincee spossano mentalmente i contendenti. Ma non è che l’antipasto.  Il combattimento – il piatto forte – non di rado assume la fisionomia dell’Apocalisse.

La moderna Apocalisse

La memorialistica e la ricostruzione narrativa della Grande guerra sono ormai un vero e proprio «letterario», col quale si sono misurati i più grandi scrittori novecenteschi: Louis-Ferdinand Céline, Gabriele d’Annunzio, Ernest Hemingway. All’interno del «genere» un posto di primissimo rilievo spetta alla lingua tedesca. In particolare, Niente di nuovo sul fronte occidentale (1929) di Erich Maria Remarque è ancora oggi un testo di riferimento. Lo dimostra la recente trasposizione cinematografica operata dal regista tedesco Edward Berger, vincitrice di ben quattro premi Oscar.

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di maggio 2023

Nel 1914 la Germania entra in guerra. Un giovane studente è trascinato dal patriottismo del suo professore. Si arruola con la febbre addosso. Parte per il fronte occidentale (la Francia) e scopre, giorno dopo giorno, l’orrore del campo di battaglia. I padri hanno illuso i figli. La conclusione è davvero crudele. Manca pochissimo alla fine delle ostilità. La Germania si è arresa. Ma un colpo mette fine alla vita del protagonista. Non tornerà a casa.

Nell’odierna versione cinematografica tutto è spettacolarizzato. Il finale, poi, è esemplare. Al cessate il fuoco manca un’ora. Quindi c’è ancora tempo per un ultimo assalto alla baionetta. Uno spietato comandante decide che è finita quando è finita. Alla guida dei suoi uomini è convinto di riscattare l’onore della Germania, rispondendo con coraggio alla resa vergognosa. Il conclusivo e disperato combattimento è l’ennesima mattanza. L’inutile strage spezza la vita al giovane protagonista. Per lui il futuro ha fine in una trincea. Nessuno più di Remarque ha saputo rappresentare, nella finzione letteraria (resa ancora più efficace e persuasiva dal successo mondiale del film hollywoodiano), la mostruosità della Grande guerra. Una moderna Apocalisse, priva di redenzione. Alla brutalità del conflitto c’è solo una risposta: la pace.

Un destino tedesco

Non tutti i tedeschi nel dopoguerra accettarono il romanzo di Remarque. Joseph Goebbels, capo dei nazionalsocialisti berlinesi e futuro ministro della propaganda di Hitler, decise di reagire allo «scandalo Remarque», impedendo l’uscita berlinese del film hollywoodiano All’Ovest niente di nuovo (1930) di Lewis Milestone. La sera del 5 dicembre 1930, circa 300 militanti inscenano una gazzarra al cinema Mozart. La proiezione viene interrotta. Goebbels, salito sul palco, tiene un discorso veemente, mentre in sala vengono liberati alcuni ratti e lanciate bombe maleodoranti. La protesta spingerà le autorità a proibire la programmazione del film su tutto il territorio nazionale.

Quando la polveriera dell’Europa prende fuoco, nell’agosto del 1914, i tedeschi (alla pari degli altri popoli belligeranti), specialmente giovani, accorrono numerosi ad arruolarsi, ansiosi di marciare per il fronte. Il clima di incandescente entusiasmo è destinato a spegnersi gradualmente. Le grandi battaglie lasciano sul campo decine di migliaia di morti. Le certezze dell’inizio vengono sopraffatte, col trascorrere del tempo, dagli incubi del combattimento, necessario non più per la vittoria imminente, ma per la resistenza. L’esperienza bellica per ogni singolo individuo diventa un esame.

L’altra Grande guerra

A Remarque, che celebra la pace, risponde Ernst Jünger, che Nelle tempeste d’acciaio (1920) celebra l’opposto, il combattimento. Sul tracciato jüngeriano si muove il bel volume che raccoglie lettere e diari di Otto Braun, Io terrò duro, qualunque cosa accada: diario e lettere di un giovane volontario di guerra (Oaks), accompagnato da una puntuale e ben calibrata introduzione di Giovanni Sessa.

Braun, berlinese nato nel 1897, è un giovane ricco di genio e curiosità. Arruolatosi volontario, combatte con eroismo. Ferito, decide comunque di tornare al fronte, perdendo la vita nel 1918. Io terrò duro è la perfetta radiografia della formazione intellettuale, all’alba del XX secolo, di uno dei tanti giovani di talento in lotta con la decadenza. La modernità, dominata dalle macchine e dalla tecnica, sta lentamente quanto inesorabilmente uccidendo lo spirito romantico germanico. La rigenerazione nazionale ha una fisionomia epocale, non solo tedesca ma europea. Il «destino» assegnato alla…

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