Roma, 25 feb – Ogni volta che vedo un nuovo film (specialmente horror) diretto da una donna, metto la mano alla pistola. Ovviamente ci sono delle eccezioni che mi rendono molto fiera (?) di far parte della categoria. Come le francesi Julia Ducournau (Rage, Titane) e Coralie Fargeat (The substance). O l’americana Mary Lambert (Pet Semetery, American Psycho), solo per citare le più conosciute – ma ne mancheranno un paio – e, new entry, la svedese Sarah Gyllenstierna, alla sua prima prova dietro la MDP con l’eccellente Hunters on a White Field.
La virilità nella società moderna
Ed è veramente una sorpresa vedere un tema del genere trattato in modo così profondo e virile da parte di una donna. Se, solo in superficie, il soggetto del film è la caccia, Sarah (l’origine della sua famiglia sprofonda nell’antichità) riesce ad approfondire sia il tema della ricerca della virilità nella società moderna, il ritorno ad una dimensione umana archetipica, l’immersione nell’atto cosmogenico primitivo, la riattualizzazione del mito del cacciatore, sia quello dell’esaurimento cosmico. Una natura che rifiuta di partecipare – nel senso di prendere parte – e la successiva caduta del cosiddetto ordine prestabilito.
I tre protagonisti – numero certamente non scelto a caso – si ritrovano in un weekend tra soli uomini di caccia e di coesione. Li sentiamo parlare di lavoro e sappiamo che due di loro sono colleghi. Immediatamente emerge una gerarchia che vede al primo posto Henrick, che è anche il più grande di età e di corpulenza, il suo amico Greger, i due tipicamente svedesi, e l’iniziato Alex. Quest’ultimo è il sottoposto di Greger ed elemento estraneo al gruppo sia dal punto di vista etnico che culturale.
Hunters on a White Field: tre amici e un inquietante chalet
Durante la prima serata nell’inquietante chalet, emerge la rabbia dei due amici per la vendita del lotto di foresta e della casa di famiglia. La responsabile è la moglie di Henrick che odia Greger e le attività extra lavorative dei due amici. La sua foto viene infatti esposta come bersaglio per una prova generale notturna, ma non se ne farà nulla per una sorta di istinto di colpa e castrazione che i tre provano nel momento di sparare. Pur essendo un weekend tra amici, l’elemento femmineo disturbante è presente sia come protagonista della fine di un’era (sarà l’ultima volta che andranno a caccia in quel luogo come si era fatto da generazioni e generazioni) sia nell’immaginario rappresentato dalla foto, che dalle remore dei tre al tiro al bersaglio.
La natura, dal canto suo, alza le mani. All’inizio la caccia sarà infatti fruttuosa, per poi trasformarsi in un’assenza completa di suoni, rumori, animali. Anche il vento se ne va, lasciando i nostri galleggiare in un quadro surreale in cui l’elemento orrorifico è ormai interno e non più esterno. Il pericolo viene da noi stessi, e cosa faranno i nostri eroi per continuare ad esistere? Semplice, ma geniale: si cacceranno tra di loro.
Una natura predatrice
Senza svelare oltre, interessante è la mutazione antropomorfa del nuovo arrivato. Alieno ad un mondo europeo e alle sue tradizioni, muterà in quel senso atavico comune a tutte le culture. Da outsider goffo e impacciato (esplosiva la scena che da ballo goliarda si trasforma in aggressione tra i tre) assume completamente una natura predatrice che affonda le sue radice nel tempo, riattualizzando il mito. La trasfigurazione è visibile (da notare le grandi doti recitative dei personaggi) sia fisicamente che mentalmente. Alex non è mai comunque a suo agio. Nella barca si sente male, poi ha un torcicollo (viene anche sbeffeggiato dai due autoctoni perché ha bisogno di un cuscino particolare per dormire), in seguito ha delle crisi di vomito. È lui l’elemento più moderno che prenderà la rivincita finale sugli altri.
Con una prima prova così, rimaniamo in attesa del prossimo lavoro della bravissima Sarah, maestra delle riprese in oscuro e degli zoom (che erano completamente scomparsi nelle ultime decadi, dopo lo sfarzo degli anni ‘70).
Chiara del Fiacco