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Italia Eterna: la Disfida di Barletta e l’onore degli italiani

by Carlomanno Adinolfi
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La disfida di Barletta
  • Seconda puntata dello speciale Italia Eterna, lo speciale sulle origini della nostra nazione. QUI potete leggere il primo contributo sui Longobardi

Roma, 7 mar – In un articolo di due anni fa il Primato Nazionale celebrava l’anniversario della nota Disfida di Barletta, lo scontro cavalleresco che nel febbraio del 1503 vide opposti tredici cavalieri italiani contro tredici cavalieri francesi, rei di aver offeso i soldati della penisola definiti tout court come codardi. Patrocinati dai nobili romani Prospero e Fabrizio Colonna, gli italiani decisero di lavare col sangue quel torto e formarono una squadra di tredici combattenti, guidati dal leggendario capitano di ventura Ettore Fieramosca, che sfidarono e vinsero tredici pari francesi, tra cui proprio il nobile Guy de la Motte che era stato l’autore dell’offesa. In tal modo riscattarono l’onore italiano e costrinsero i francesi a rivedere il loro giudizio sui nostri combattenti.

Il significato della Disfida di Barletta

Ma non è tanto la cronaca storica dell’evento che ci interessa ora, quanto l’importanza che quella disfida assunse per dimostrare un fatto lampante che purtroppo ancora oggi viene negato: ovvero il fatto che il popolo italiano esiste e che è sempre esistito, così come è sempre esistita l’idea di Italia, concetti per molti quasi banali per quanto sono ovvi, ma che purtroppo molti negano, definendo l’Italia come una invenzione ottocentesca della borghesia colta e affermando addirittura, come fece Luigi Ripamonti in un editoriale del Corriere della Sera nel maggio del 2018, che “gli italiani non esistono” e che quindi anche il concetto di popolo italiano sia un incidente di percorso che non trova giustificazione storica.

Ebbene la celebre Disfida è solo uno dei numerosissimi esempi dei secoli scorsi che dimostra la totale vacuità di certe affermazioni. La sfida fu infatti lanciata perché ad essere stati offesi non erano stati i cittadini del Regno di Napoli, o del Ducato di Milano, o i Fiorentini o i Ferraresi. L’offesa era stata rivolta verso “gli Italiani”, e chi sfidò i Francesi volle esplicitamente difendere il proprio onore in quanto italiano. Questo dimostra che italianità, appartenenza a un unico popolo e legame a una terra ben definita, agli inizi del XVI secolo erano concetti già chiari e vivi e pertanto esistenti già da molto tempo. E che il concetto di “Italiani” non fosse soltanto un vezzo degli abitanti della penisola ma anzi fosse ben chiaro anche a tutti i popoli stranieri, visto che Guy de la Motte, francese, usò proprio il termine “Italiani” per offendere un popolo intero e che il comandante Íñigo López de Ayala, spagnolo, protestò contro il nobile francese difendendo le virtù militari e guerresche proprio degli “Italiani”.

Per l’onore degli italiani

Basta poi vedere la provenienza geografica dei Tredici che combatterono a Barletta per capire quanto la difesa dell’onore degli Italiani fosse sentita in tutto lo stivale. Tra essi vi furono tre campani (Ettore Fieramosca, Marco Corollario, Mariano Abignente), due siciliani (Francesco Salamone e Guglielmo Albimonte), due romani e un abruzzese, provenienti dunque dalle terre pontificie (Giovanni Brancaleone, Peraccio Romano e Giovanni Capoccio), un lombardo da Lodi (Fanfulla), un forlivese (Romanello), un parmense (Riccio), un pugliese (Ettore Miale de’ Pazzis) e un discendente di una famiglia normanna pugliese che vantava signorie fin nelle terre campane (Ludovico Abenavoli). E stando alle cronache dell’epoca la vittoria fu celebrata non solo a Barletta, con la messa di ringraziamento alla Madonna tenutasi nel Duomo di Santa Maria Maggiore, ma in tutto il territorio italiano.

L’importanza identitaria della disfida fu sottolineata anche in epoca risorgimentale tanto che Massimo D’Azeglio nel 1833 le dedicò un romanzo, Ettore Fieramosca, o la disfida di Barletta, ma anche e soprattutto in epoca fascista, tanto che Mussolini ne sottolineò l’importanza per lo spirito di riscossa nazionale e fece erigere nei primi anni ’30 un nuovo monumento alla Disfida e ai Tredici. Nel 1938 inoltre Alessandro Biasetti realizzò Ettore Fieramosca che divenne uno dei film di propaganda del Ventennio con toni palesemente identitari e nazionalisti.

Una storiografia antinazionale

Eppure in molti tentano di sminuire l’importanza storica e identitaria dell’evento, seppur con evidenti arrampicate sugli specchi. La scusa principale riguarda il contesto storico in cui avvenne la disfida, ovvero le cosiddette “guerre italiane” che videro opposte tra la fine del XV secolo e la metà del XVI secolo le più grandi potenze straniere, Spagna e Francia in testa, per il controllo della penisola italica. La sfida pertanto sarebbe avvenuta non per riscossa nazionale né per rivendicare una unità nazionale ma sarebbe stata solo un evento di minore importanza storica all’interno della contesa tra francesi e spagnoli, tanto che gli Italiani non combatterono sotto un vessillo italiano ma sotto quello spagnolo. Quindi, secondo i detrattori, non vi sarebbe stato alcuno spirito patriottico o nazionale in quegli anni.

Ma anche queste tesi poggiano su basi fragilissime. Il vessillo spagnolo “patrocinò” la sfida perché il Guy de la Motte che offese gli italiani era ostaggio dell’esercito spagnolo e recò l’offesa durante un banchetto organizzato da Consalvo da Cordoba, comandante in capo dell’esercito spagnolo in Italia, in onore dei nobili prigionieri (all’epoca le regole della cavalleria erano davvero tali). Pertanto la supervisione spagnola servì tanto per difendere l’onore degli italiani che per la maggior parte combattevano tra le file aragonesi tanto per garantire salvacondotto e incolumità dei nobili francesi. Funsero quindi più da arbitri che altro. La disfida fu poi senz’altro un episodio che non ebbe importanza storica per gli eventi bellici di quegli anni, che videro purtroppo l’Italia solo come terra di battaglia di altre potenze, ma dire che non esisteva ancora un sentimento di identità nazionale se non un vago senso di appartenenza tanto che nessuno in quegli anni combatté per l’unità è un falso storico.

Semplicemente il contesto del XV e XVI secolo che vedeva l’Italia frantumata in più regni, stati e ducati rendeva impossibile una lotta per l’unità ma non perché non fosse ancora nato un sentimento nazionale, semmai perché quella frantumazione fu anzi il risultato dei fallimenti dei tentativi di unità che vi erano stati tra il XIII e il XIV secolo, tentativi che cercavano appunto di ricomporre un’Italia unita che era un concetto già chiaro dai tempi di Augusto, passando per Teodorico, Giustiniano e il Regno Longobardo e che spaventava i papi che dall’VIII secolo si opposero in tutti i modi alla riunificazione dei due regni meridionale e settentrionale che invece gli Hohenstaufen e i loro successori tentarono più volte. Dire poi che il sentimento di identità nazionale fosse vago e non radicato, più che assolutamente anti-storico è sintomo di palese malafede. I nomi di tredici cavalieri che accorsero da tutta Italia e che vinsero perché spinti a combattere fino alla morte per difendere la reputazione di un popolo intero sono lì, incisi su un monumento a Barletta, a dimostrarcelo.

Carlomanno Adinolfi

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1 commento

FABIO FILACCHIONI 7 Marzo 2020 - 6:00

Sintetizzo: “I nomi di tredici cavalieri che accorsero da tutta Italia e che vinsero perché spinti a combattere fino alla morte per difendere la reputazione di un popolo intero sono lì, incisi su un monumento a Barletta, a dimostrarcelo.” FINO ALLA MORTE ! e’ CHIARO ?

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