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Italia Eterna: Federico II di Svevia, il “più italiano” degli imperatori tedeschi

by Carlomanno Adinolfi
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Federico II di Svevia

Roma, 17 mar – Pochi sanno che la famosa leggenda ottocentesca dell’imperatore Barbarossa dormiente in una caverna dei monti Kyffhäuser della Turingia e pronto a svegliarsi per riportare la Germania alla sua antica grandezza imperiale deriva in realtà da una leggenda medievale il cui protagonista non era il Barbarossa bensì il nipote, Federico II, pronto a risvegliare non solo la Germania ma in toto i fasti imperiali d’Europa.

Italia e Impero

Il risorgimento tedesco volse in senso nazionalista la leggenda, ma per farlo sostituì lo Stupor Mundi con il nonno per un motivo molto semplice. Il Barbarossa era infatti un imperatore prettamente tedesco, un sovrano che – pur ricollegandosi alla tradizione romana e all’idea della renovatio imperii di stampo cesareo – vedeva comunque l’Impero come una faccenda tedesca e da reggere dalle sue terre in Germania, vero centro amministrativo del suo potere. Federico II in Germania passò invece pochissimi anni della sua vita, facendo del Regno di Sicilia il suo centro di potere e dell’Italia intera il fulcro della sua battaglia per creare un Impero veramente universale, tanto che fu impossibile per i romantici tedeschi farne un vessillo per la rinascita tedesca.

Di fatto Federico II è da sempre considerato come il più italiano – forse l’unico italiano – tra i sovrani del Sacro Romano Impero. C’è chi sostiene che la sua decisione di scegliere l’Italia, e il Regno di Sicilia in particolare, come base del suo potere sia derivata dalla sua infanzia passata a Palermo e dalla sua formazione avvenuta grazie agli uomini del regno normanno ereditato dalla madre Costanza d’Altavilla; c’è chi sostiene che la sua scelta fu strategica perché lo stivale gli dava accesso tanto al continente quanto al Mediterraneo, rivelandosi dunque centro perfetto per un Impero veramente universale.

Il regno pan-italico sognato da Federico II

In realtà Federico II fu chiarissimo nel rivelare le sue vere intenzioni. La sua idea di renovatio imperii non era solo formale, non riguardava solo titoli e nomenclatura, ma coinvolgeva una visione che si fondava su uno regno pan-italico, che unisse quindi il Regno d’Italia (che all’epoca comprendeva il nord della penisola dalle Alpi fino a Toscana e Romagna), il Regno di Sicilia (che comprendeva la penisola da Gaeta e Abruzzo in giù) e gli stati della Chiesa (più o meno Lazio, Umbria e Marche), con capitale Roma e che fosse il centro di potere del suo Impero. L’idea prese corpo dopo la battaglia di Cortenuova (1237) che vide trionfante l’imperatore contro i guelfi della Lega Lombarda, che dopo la cocente sconfitta si sciolse e si vide anche conquistato il Carroccio. Dopo Cortenuova Federico vedeva annientati i moti di disgregazione del Regno d’Italia e i centri militari e politici che minavano il suo potere e soprattutto abbatteva le basi su cui poggiava la “crociata” anti-imperiale di papa Gregorio IX.

In qualche modo quella vittoria gli spalancava le porte di Roma e dell’Italia e il sovrano lo esplicitò nella lettera che mandò al senato e al popolo di Roma insieme al Carroccio, donato a Roma come bottino di guerra. La lettera è un documento molto importante per comprendere l’idea che da quel momento il sovrano iniziò a perseguire. L’invio del Carroccio a Roma ricalcava l’offerta delle spolia opima, ovvero le armi del nemico che a Roma gli imperatores donavano al tempio di Giove sul Campidoglio prima della celebrazione del trionfo. Con esso dunque Federico si presentava come Cesare non solo di nome, ma realmente come nuovo imperatore pronto a tornare a Roma vittorioso. «A levare nei giorni del nostro comando alto il decoro della Città, il quale stimarono gli avi nostri fosse più eccelso mediante la gloria del trionfo, ci obbliga la ragione potentissima che comanda ai re e la natura nostra al dovere, scrisse. «Ora voi vedete che se il trionfo viene necessariamente ricondotto alla sua origine naturale, noi non potremmo levar alto il decoro imperiale senza prima levar alto l’onore della Città, che noi sappiamo essere stata l’Origine dell’Impero».

Un novello Cesare

Con queste parole dirette al popolo romano, Federico faceva comprendere come il destino di Roma e quello dell’Impero che aveva in mente fossero indissolubilmente legati. Ma le parole più importanti che fecero capire al mondo intero il suo obiettivo arrivano poco dopo:
«Destinatovi, vinta Milano, il Carroccio di questo comune, come preda e spoglia del nemico, vi sia pegno delle nostre grandi imprese e della gloria nostra, deliberati noi a scioglierlo nella sua integrità non appena vedremo pacificata l’Italia, sede del nostro romano impero». Il sovrano fa dunque voto al popolo e al senato di Roma (SPQR) di pacificare l’Italia e farne sede dell’Impero, di cui Roma è l’unico centro e origine.

Lo spostamento dell’asse del potere dalla Germania all’Italia e idealmente a Roma si capisce anche dall’immediata nomina del figlio Corrado a co-reggente in Germania. Di fatto Federico lascia all’erede le sorti e l’amministrazione del regno tedesco per poter avere campo libero sul suo reale obiettivo. L’attenzione del sovrano è ora tutta per Roma. Iniziano gli appelli ai romani affinché “si destino” per riportare in auge l’antica grandezza. Inizia in questo periodo l’alleanza con alcune tra le principali famiglie dell’aristocrazia romana, in primis i Frangipane, gli Orsini, i Polo, i Malebranca e i Colonna, che divennero addirittura feudatari dell’imperatore. Strinse anche i rapporti con il senato, primo tra tutti i sovrani dell’Impero ad esercitare il proprio ufficio nell’antichissima assemblea – i suoi predecessori avevano sempre rifiutato o sdegnato il ruolo – arrivando perfino a far eleggere un senatore imperiale per garantire l’ordine nell’Urbe, ponendosi dunque come araldo della coesione e della tranquillità di Roma in palese contrasto con il papa, che vedeva così la fazione romana dei filo-imperiali sempre più rinforzata. Tra l’altro, indirettamente ma piuttosto esplicitamente, con la sua politica romana Federico mostrava la differenza tra chi – il papa – appoggiava le ribellioni disgreganti e particolariste dei comuni e chi – l’imperatore – si batteva per l’unità e l’ordine in tutta l’Italia, Roma compresa.

Il Federico II «romano»

L’appoggio alle nobili famiglie di Roma aveva anche lo scopo di ricreare un’aristocrazia veramente romana che potesse reggere le sorti del futuro regno italico: «Nella nostra età si mostri nuovamente la dignità del sangue romuleo, torni a risplendere la lingua degli imperatori romani, sia rinnovata l’antica dignità romana e si annodi il nesso indissolubile della grazia nostra fra l’Impero Romano e i cittadini di Roma». L’identità tra Roma e Impero diventa quindi fattuale e non più ideale, da subito dopo la vittoria di Cortenuova Federico inizia a chiamare a sé nobili e cittadini romani che gli venivano segnalati per le loro doti, con l’obiettivo di formare una nuova corte amministrativa di “sangue romuleo”. Alcuni furono insigniti anche del titolo di proconsoli con il quale poterono avere direzione politica e amministrativa dei territori di Roma ma anche dei territori strappati alla Lega (il proconsole romano Angelo Malebranca divenne potestà di Firenze dopo che la città cacciò il vecchio potestà milanese fedele alla vecchia alleanza guelfa). L’obiettivo di formare una nuova classe dirigente romana che potesse governare l’Italia, “sede del nostro impero” si faceva dunque palese.

Mentre cercava di formare la nuova classe dirigente “romulea”, il sovrano accentrava attorno alla sua figura la corte amministrativa del Regno di Sicilia, che prese a spostarsi con lui nel nord della penisola. Da lì gli amministratori del regno meridionale iniziarono ad amministrare anche i territori del nord, portando ad una fattuale unità politica l’intera penisola. Ciò divenne ancora più evidente quando, nel 1239, Federico dichiarò i due ducati di Spoleto e Ancona come province dell’Impero. Il sovrano aveva dovuto rinunciare a questi due ducati quando, fanciullo, aveva ottenuto l’appoggio del pontefice Innocenzo III per salire al trono imperiale. In cambio aveva dovuto cedere i ducati ai territori della Chiesa con la promessa di non unire mai politicamente i due regni italici, quello del nord ereditato dal padre e quello di Sicilia ereditato dalla madre. I due ducati in mano alla Chiesa spezzavano anche geograficamente i due regni; avocandoli nuovamente a sé, Federico riunificava territorialmente e politicamente i due regni – l’incubo dei papi da circa sei secoli – e rendendo effettiva la nascita del nuovo regno pan-italico a cui mancava un solo ostacolo per avere Roma come capitale: il papa.

Rinnovare lo spirito di Roma

Vittoria dopo vittoria Federico nel 1240 avanzò fino a Roma, acclamato al grido Ecce salvator! Ecce Imperator! Veniat, veniat Imperator! Sempre più famiglie e fazioni abbandonarono il pontefice acclamando il sovrano. «Resta dunque che, essendo il popolo romano tutto in nostro favore e acclamante al nostro avvento, […] noi ci disponiamo a entrare felicemente nella città e a rinnovare i fasti dell’impero antico e le corone lauree del trionfo». Giunto alle porte della capitale si fermò, rifiutandosi di prenderla con le armi e di saccheggiarla proprio per non entrare da conquistatore. Aspettava che fosse il popolo stesso a consegnarsi all’imperatore abbandonando il pontefice.

Ma il colpo di mano non riuscì perché ai romani mancò il coraggio dell’ultimo atto e questo portò poi al crollo dell’edificio ghibellino in quanto nessuno degli eredi di Federico II riuscì a mantenere le redini dell’Impero davvero universale creato dallo Stupor Mundi, che collassò definitivamente quindici anni dopo la morte del grande sovrano quando suo nipote, il celebre Corradino di Svevia le cui truppe erano guidate da Manfredi, figlio di Federico, fu sconfitto a Benevento dal rinato e più potente partito guelfo. Ma l’eredità ideale e politica di una Italia unita con capitale Roma, unica condizione possibile per la realizzazione di un Impero Universale, fu raccolta da Dante e trasmessa nei secoli.

Carlomanno Adinolfi

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4 comments

roberto 17 Marzo 2020 - 8:37

Bellissima, nobile epopea… Sembra una avvincente romanzo, invece é Storia!

Reply
rino 17 Marzo 2020 - 11:19

Peccato che uno dei migliori della nostra storia non abbia potuto realizzare i suoi (e probabilmente i nostri) sogni unitari.

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Mivon 18 Marzo 2020 - 10:15 Reply
Italia Eterna: Galeani Napione e la vocazione nazionale del Piemonte | Il Primato Nazionale 27 Marzo 2020 - 4:36

[…] e Petrarca, Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele di Savoia, Gian Galeazzo Visconti, Federico II di Svevia, Il Regnum Italiae di Berengario, Niccolò Machiavelli, Cola di Rienzo […]

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