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La finestra della destra radicale italiana sul mondo (e viceversa): intervista a Guido Taietti di Progetto Razzia

by Marco Battistini
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Roma, 24 ago – Nato come libero spazio di informazione, luogo in cui – per davvero – si poteva giocare ad armi pari, negli ultimi anni il web si è trasformato, soprattutto “grazie” ai social, in perfetta grancassa mediatica del discorso dominante. I meccanismi sono noti e dare chiavi di lettura diverse – documentate e controcorrente – è sempre più faticoso. Tra le realtà che possiamo definire affini alla scrivente testata c’è sicuramente Progetto Razzia, frizzante laboratorio culturale fondato e diretto da Guido Taietti, esperto (anche) di comunicazione politica.

Quando e come nasce l’esigenza di “mettersi in proprio”? Ovvero, qual è la genesi di Progetto Razzia?

Progetto Razzia nasce assieme al mio testo “Stregoneria Politica: comunicazione politica non convenzionale”. Mentre stavo raccogliendo materiale e riordinando le idee per il paradigma che propongo nel libro mi sono detto che, oltre alla teoria, valeva la pena anche “mettere a terra” queste idee e provarle in prima persona. Se l’idea di fondo di Stregoneria Politica era “come comunicare in un contesto ostile”, Progetto Razzia prova ad essere uno dei fronti di questa battaglia. Dopodichè, come tutte le idee feconde, si è rivelato essere molto più di quel che io stesso avevo immaginato. Ora è, come lo ha definito qualche tempo fa un amico, “la finestra della destra radicale italiana sul mondo e la finestra del mondo sulla destra radicale italiana”.

Progetto Razzia, un nome che ci rimanda – nelle intenzioni – al comportamento degli antichi romani. Conquistato un popolo si tornava nell’Urbe insieme a quanto di buono e di bello si potesse fare proprio. Non c’è però il rischio di passare per incompresi in un mondo – quello identitario – spesso troppo autoreferenziale?

Il rischio dell’incomprensione per chi fa politica radicale oggi esiste per la semplice ragione che la società procede sempre più rapidamente verso la più totale spoliticizzazione. Quindi di per sé, con questi temi e con certe posizioni, è bene sapere che non si può diventare “pop” in senso stretto. Tuttavia posso dire che, rispetto a molti altri esperimenti d’area, Progetto Razzia gode di una propria agibilità e di una fetta di pubblico non necessariamente afferente alla destra radicale italiana. Quindi di per sé il cammino è quello corretto. In merito ai numeri poi bisogna intendersi: diciamo che io non credo ai grandi numeri, ma alle comunità dense. Se volessi tentare la strada di un pubblico maggiore potrei semplificare i temi, banalizzare gli autori o alleggerire le analisi. Ma preferisco risalire la corrente al contrario e usare Youtube per “dare profondità” ad alcuni temi o autori sconosciuti, quantomeno al grande pubblico.

Oggi un’importante fetta dell’informazione passa dal web, in particolare dai social. Dove magari per arrivare a milioni di elettori basta un messaggio destrutturato sul profilo dell’amico influencer di turno. È davvero qui il futuro della politica o la complessità del reale può tornare protagonista?

La politica di per sé è una cosa complessa perché è una eventualità della coscienza che richiede un elevato grado di astrazione. Tuttavia come suggerivo in Stregoneria Politica non è detto che la comunicazione debba essere o avvenire in un solo modo. Io credo che il futuro, ma in realtà anche il passato, soprattutto per i soggetti politici radicali sia la segmentazione. Occupare cioè diversi media con diversi messaggi con diversa complessità che comunichino una narrazione unitaria nel significato ma destrutturata per colpire diversi pubblici in diversi momento e anche, non possiamo dimenticarlo, aggirare la censura.

La complessità dei video di Progetto Razzia è mediamente molto superiore a quel che si trova sul resto di Youtube Italia. Ma in ogni caso non è minimamente paragonabile a quanto complesso può essere un saggio o magari un incontro dal vivo con un autore. Io credo servano tutte queste forme di comunicazione perché hanno pubblici diversi, momenti diversi, obiettivi diversi: privarsi di uno di questi strumenti ed illudersi che si possa esistere solo online o al contrario solo nelle sezioni ignorando completamente l’online, sarebbe un errore. Un errore con esiti tra loro completamente differenti, ma non di meno, un errore.

I giovani sembrano completamente disinteressati alla politica. Non avendo coordinate, diventano maggiormente manipolabili rispetto a certe tematiche (economia, ambiente, teorie di genere). È il fallimento dei partiti maggiori o al contrario cosa che porta acqua al loro mulino?

I partiti politici nazionali sono una forma politica vuota che esiste per questioni di inerzia. Ha completamente perso la capacità di prendere decisioni e tutto quel che afferisce a questo aspetto della politica. Lo potete vedere anche dal fatto che hanno rinunciato alla formazione e alla selezione di élites che invece è una grande funzione tipica dei decenni in cui i partiti politici servono a qualcosa. Al momento la loro funzione è sostanzialmente riempire in modo posticcio il dibattito politico per dare l’illusione ai cittadini che la democrazia esista, confonderli in merito al fatto che siccome in qualche modo “si partecipi alla politica” allora si concorra in qualche modo alle decisioni che la stessa prende.

Che però tecnicamente sarebbe come pensare che siccome milioni di cattolici vanno a messa ogni domenica in qualche modo possano influire sulle decisioni che il sistema politico e decisionale della Chiesa Cattolica intende prendere. I partiti politici di per sé lottano contro l’astensionismo, ma essendo loro l’ultima ruota del carro nel sistema decisionale occidentale, subiscono una tendenza maggiore che invece spinge all’astensione e al disinteresse.

I giovani, che non avendo vissuto epoche precedenti in cui la politica aveva maggiore agio, non hanno fatto investimenti emotivi, non sono emotivamente legati ad alcuni simboli o battaglie, vedono il sistema politico italiano per quello che è: partiti politici che hanno sostanzialmente la stessa piattaforma elettorale, in un ecosistema totalmente controllato, che divergono tra loro per micro-questioni culturali o storie personali, ma che nel complesso non sono tenuti e non devono “cambiare nulla”.

Per i giovani la politica è il wrestling dei boomer e hanno sia ragione che torto. Ragione nel vedere il re nudo, e cioè che il sistema partitico e la menzogna della democrazia sono appunto uno spettacolino ad uso del popolino. Torto perché non colgono che la politica non smette di esistere e quindi eventualmente bisogna interrogarsi su dove e come si prendono le decisioni e su come e dove ci si possa far trovare nel posto giusto al momento giusto per provare ad incidere sulla realtà.

La sinistra fa politica, la destra amministra. I primi detengono il potere, i secondi sono al governo. È cambiato tutto (il primo esecutivo di destra, ad esempio) ma – nei fatti – non è cambiato niente. Anzi, forse certe dinamiche sono peggiorate. Cosa ne pensi?

Destra e sinistra sono oggi solo gli spazi che i candidati e i partiti occupano come“imprenditori politici”. La destra sembra occupare gli spazi più popolari (con interessanti eccezioni). La sinistra mira più a rappresentare il ceto urbano, i segmenti più alti dal punto di vista economico e culturale oppure i segmenti più socializzati.

Tuttavia nessuno dei due tecnicamente decide, neppure la sinistra. La sinistra “sembra” decidere perché è il terminale politico del grande Capitale. Quindi non è che “decide”, piuttosto ha scelto l’agenda più facile da realizzare per questioni di rapporti di forza. La prova ovviamente che non sia la sinistra a decidere, che non esista una presunta egemonia nel senso con cui la intendono i diseredati del centrodestra, è che quando la sinistra prova a cambiare agenda viene regolarmente bastonata. Non esiste quindi “un controllo” della narrazione da parte della sinistra, piuttosto il contrario: la sinistra vince perché ha scelto la squadra più forte.

Il centrodestra in questo è ancora più patetico. Ovviamente prende i voti con battaglie che essendo popolari (quando non populiste) tendenzialmente sono contrarie all’agenda del Capitale più avanzato. Ma poi non ha la forza per reggere alla pressione che queste decisioni portano con sé. E pertanto fa l’impossibile per compiacere chi sta in alto sostanzialmente tradendo con regolarità il proprio elettorato. Il centrodestra ovviamente non ha nessuna possibilità per reggere a questo tipo di confronto. Richiederebbe partiti e strutture politiche radicate e totalizzanti come le abbiamo visto nel secolo scorso, cosa che il centrodestra non ha la forza e l’intenzione di avere. E quindi è costantemente diviso tra queste due condotte: continuare la ricerca del consenso, raggiungere buoni numeri e venir marginalizzato come fascista/eversivo/razzista. Oppure ignorare il consenso, diventare “la buona destra”, e non prendere voti schifato da destra e da sinistra.

C’è ancora spazio per qualcosa di diverso?

A mio avviso sì. Vedo almeno due cammini poco battuti che temo siano poco battuti non perché nessuno ne intuisca la potenzialità ma piuttosto perché spaventano per la difficoltà. Il primo è fare ordine teorico. Costruire paradigmi, teorie, mettere in ordine il piano ideologico. La grande forza del marxismo storicamente è stata la costruzione di un modello teorico che, al netto di grandissimi errori, permetteva comunque la riduzione della complessità della storia umana alla luce di una sola variabile, la lotta tra le classi. E alla luce di questo indicava un cammino. La forza intrinseca di un modello così raffinato (cioè con poche variabili) ha fatto sì che per secoli, in contesti diversi, in modo contraddittorio, siano nati centinaia di movimenti rivoluzionari, migliaia di autori hanno potuto confrontarsi, milioni di militanti hanno avuto una direzione.

A me pare che al mondo della destra radicale italiana, ma direi mondiale, manchi questo. Ossia, delle strutture teoriche di riferimento che permettano di avere una minima omogeneità tra i vari attori politici che nel mondo hanno comunque pretese rivoluzionarie, grossomodo lo stesso scetticismo verso il capitalismo apolide, una totale contrarietà al fenomeno immigratorio ecc. La seconda strada è una strada che è stata per secoli propria dei partiti politici e che ora i partiti politici stessi hanno in larga parte abbandonato: la creazione e la selezione di nuove élites. Il che significa formazione, ma forse anche e soprattutto un lavoro di natura quasi spirituale da intraprendere e proiettato incredibilmente avanti nel tempo. Ma in una politica che sta tornando ad essere appannaggio delle élites e chiude la propria parentesi della “politicizzazione delle masse”, tornare a lavorare sulle élites è probabilmente la scelta strategicamente più brillante che si possa fare.

Video YouTube di approfondimento, spunti più veloci su Telegram e Facebook, gli immancabili meme. Un catalogo di contenuti ormai tanto ampio a livello quantitativo quanto profondo per varietà di argomenti trattati. Cosa dobbiamo aspettarci nel futuro prossimo da Progetto Razzia?

Almeno due cose: la prima sarà una maggiore attenzione al mondo politico fuori dai confini nazionali. Sto facendo circolare parecchio mio materiale soprattutto nel mondo anglosassone dove sta riscuotendo un certo interesse. Seconda cosa, sto lavorando ad un nuovo libro, stavolta di natura più strettamente teorica e direi teoretica. Ma di questo ne parliamo più avanti…

Alla prossima razzia!

Marco Battistini

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