Roma, 24 ago – Adolf Hitler nel racconto di Nicolaus von Below, pubblicato in italiano da Italia Storica Edizioni. Un testo che ovviamente suscita notevole curiosità e che rappresenta un approfondimento essenziale su un periodo storico enormemente “denso” di eventi.
“Al fianco di Hitler” di von Below: l’edizione italiana e il comunicato
Qui di seguito il comunicato della casa editrice.
Per quasi otto anni, dal 16 giugno 1937 al 29 aprile 1945, Nicolaus von Below prestò servizio come Aiutante della Luftwaffe presso il Führer, sperimentando in stretta vicinanza ad Hitler l’ascesa e la caduta della Germania nazionalsocialista. Le sue memorie, pubblicate per la prima volta in edizione italiana dalla casa editrice ITALIA Storica Edizioni (Nicolaus von Below, Al fianco di Hitler, prefazione del prof. Francesco Perfetti, 328 pagg., Genova 2024), sono un documento importante e già largamente utilizzato dagli studiosi del nazionalsocialismo, e meritano attenzione sotto diversi profili. In primo luogo esse, al pari per esempio di quelle di Albert Speer, sono significative per capire la fascinazione che Hitler riuscì ad esercitare su personaggi appartenenti non all’ambiente nazionalsocialista vero e proprio, ma piuttosto a quello conservatore. Com’era, appunto, il caso di von Below. Queste memorie offrono, inoltre, uno sguardo della vita quotidiana all’interno della cerchia di collaboratori e intimi del Führer, ma fanno capire anche l’esistenza di profonde rivalità, contrasti, giochi di potere sviluppatisi all’ombra del dittatore. Esse, poi, riportano reazioni e stati d’animo del dittatore di fronte all’andamento delle operazioni belliche, nonché i suoi giudizi sulle personalità politiche tempo. A cominciare, per esempio, da Mussolini.
Il vero protagonista delle memorie di von Below è, tuttavia, proprio lui, il Führer, del quale viene proposto un ritratto inedito e, per certi versi, in controtendenza rispetto all’immagine costruita dalla memoria storica e codificata dalla ricerca storiografica. Ma, al di là di questo ritratto del dittatore, ce n’è un altro ancor più stupefacente: un Hitler stratega militare per nulla dilettante quale emerge dal racconto del progressivo processo di deterioramento dei suoi rapporti con i suoi Generali.
Le memorie di von Below si rivelano, per la vivacità della narrazione, una suggestiva rilettura della storia della Germania nazista dall’angolatura privilegiata di chi fu vicino al Führer negli anni decisivi del regime. Di seguito, per gentile concessione dell’editore, il resoconto di von Below – inedito in italiano – dell’attentato a Hitler del 20 luglio 1944:
Quel cruciale 20 luglio
Vi proponiamo anche un estratto dell’opera:
Il giorno successivo era il 20 luglio. Hitler aspettava Mussolini nel primo pomeriggio e la conferenza sulla situazione era stata anticipata di mezz’ora alle 12.30. Era una calda giornata estiva e quelli di noi partecipanti alla conferenza si erano radunati davanti alla baracca della sala conferenze. Questi includevano Puttkamer, Bodenschatz e Graf von Stauffenberg, che dal primo luglio era stato capo di Stato Maggiore del Generaloberst Fromm, Comandante in Capo dell’Esercito di Riserva, ed aveva presenziato al Berghof pochi giorni prima per presentare un rapporto. Hitler voleva analizzare l’idea di nuove formazioni di Panzer e fanteria e la conferenza odierna serviva a ricevere informazioni sulle possibilità. Hitler accolse con una stretta di mano ogni ufficiale davanti alla baracca prima di aprire immediatamente la strada verso la stanza della situazione, dov’erano riuniti altri Alti Ufficiali. Tra questi vi erano Keitel con il suo Aiutante di Campo John von Freyend; Jodl insieme al Maggiore Büchs, suo Ufficiale di Stato Maggiore della Luftwaffe, e all’Oberstleutnant Waizenegger, 1° Ufficiale di Stato Maggiore; Korten; Buhle, Capo di Stato Maggiore dell’OKW; Schmundt; Heusinger; Warlimont; Fegelein; Voss; l’Oberst Brandt, 1° Ufficiale di Stato Maggiore; il Kapitän zur See Assmann, 1° Ufficiale di Stato Maggiore della Kriegsmarine; Scherff; il delegato Sandleithner; Borgmann; Gunsche; e due stenografi, Berger e Buchholz.
La conferenza si aprì come di consueto con il rapporto di Heusinger sul Fronte orientale. Io stavo un poco in disparte a discutere l’ordine del giorno della visita di Mussolini con gli altri tre Aiutanti. Heusinger espose un argomento che mi interessava e mi spostai sul lato opposto del tavolo per avere una visione migliore della mappa. Ero lì da qualche minuto quando la bomba esplose. L’orologio segnava le 12:40. Persi conoscenza per alcuni secondi. Quando mi ripresi vidi attorno una massa di rovine di legno e vetro. Barcollando mi alzai in piedi, uscii attraverso uno degli infissi della finestra, poi mi precipitai attorno al capanno fino alla porta principale. La testa mi ronzava, ero assordato e sanguinavo dalla testa e dal collo. Sulla porta mi accolse una scena terribile. Ufficiali gravemente feriti giacevano sul pavimento, altri vacillavano e cadevano. Hitler, eretto e con passo sicuro, fu condotto fuori da Keitel. La giacca e i pantaloni dell’uniforme erano laceri, ma per il resto non sembrava malmesso. Si ritirò subito nel suo bunker per le cure mediche. Diverse persone presentavano ferite gravi e furono trasportate all’ospedale militare a quattro chilometri di distanza. Tutti gli altri riportarono ferite di varia natura, la maggior parte consistenti nei timpani perforati.
Corsi alla vicina baracca delle trasmissioni e passai l’ordine all’Ufficiale di servizio, l’Oberstleutnant Sander, di bloccare tutti le trasmissioni in uscita tranne quelle di Hitler, Keitel e Jodl. Poi mi recai al Führerbunker, dove trovai Hitler seduto nel suo studio. Appena entrato vidi che aveva sul viso l’espressione di una persona che aveva affrontato la morte e ne era uscita quasi indenne. Mi chiese delle mie ferite e disse che tutti noi avevamo avuto un’enorme fortuna. La conversazione si spostò sull’avvenimento. Hitler respinse qualsiasi idea che i lavoratori dell’Organizzazione Todt, i quali avevano ristrutturato la caserma pochi giorni prima, potessero essere responsabili.
A questo punto era stata notata l’assenza di Graf Stauffenberg, e furono iniziate delle ricerche. Emerse che poco dopo l’inizio della conferenza sulla situazione era sgattaiolato fuori con la scusa di dover fare una telefonata. Senza attendere che fosse stabilito il collegamento telefonico, aveva detto di aver dimenticato il suo portamappe e si era diretto ad un’auto nella quale lo stava aspettando l’Oberleutnant von Haeften, il suo Ufficiale di scorta. L’SS-Kommandant del Quartier Generale del Führer aveva intanto lanciato l’allarme e le sentinelle avevano ricevuto istruzioni di non far passare nessuno. L’auto di Stauffenberg era arrivata alla barriera esterna ma non avrebbe potuto attraversarla fino a quando non fosse stato ottenuto il permesso telefonico dall’Aiutante del Kommandant. Questo Ufficiale conosceva Stauffenberg, aveva fatto colazione con lui quella mattina e pensò che Stauffenberg dovesse tornare a Berlino per motivi di servizio, e non vide alcun collegamento tra la partenza frettolosa di Stauffenberg e l’esplosione. Così Stauffenberg ebbe la strada libera verso l’aeroporto, da dove decollò per Berlino a bordo di un He 111 del Quartiermastro Generale dell’Esercito.
Man mano che questi dettagli divennero gradualmente noti, la colpa di Stauffenberg risultò evidente. Himmler, nominato ora Comandante in Capo dell’Esercito di Riserva, ricevette pieni poteri per le indagini penali e dopo una breve sosta alla Wolfsschanze volò a Berlino per essere più vicino agli eventi.
Non era possibile formare un quadro chiaro per telefono. Il volo da Rastenburg a Rangsdorf durava due ore, il viaggio fino al ministero della Guerra del Reich un’altra ora all’incirca. Quindi né Himmler né Stauffenberg poterono raggiungere la Bendlerstrasse fino a dopo le 16.00. Questo ci concesse alcune ore per essere medicati e io ricevetti delle cure da un Ufficiale medico dell’Esercito. Anche il medico personale di Göring si interessò a me al mio ritorno, confermò la mia commozione cerebrale e mi ordinò di andare a letto. Göring mise persino una guardia delle SS alla mia porta per assicurarsi che non tentassi di alzarmi. Questo era ridicolo perché ero il meno ferito degli Aiutanti, in grado di camminare e di assolvere dei compiti limitati, per i quali il professor Brandt mi diede il permesso nel corso della serata. Questo era necessario, perché Hitler era molto impegnato. Dopo la cena e la conferenza serale parlammo. Mi disse che Schmundt e Borgmann erano rimasti gravemente feriti mentre Puttkamer era costretto a letto per una lesione al ginocchio. Ciò significava che avevo bisogno di un altro Aiutante e gli chiesi se potevo avere l’Oberstleutnant von Amsberg per assistermi. Era stato l’Aiutante di Campo di Keitel e conosceva bene il funzionamento del Quartier Generale del Führer. Hitler acconsentì subito. Quello che più lo interessava adesso era chi dovesse essere il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. Zeitzler era sulla lista nera e Hitler non voleva più vederlo. Pensava a Guderian come successore. Gli sconsigliai questa nomina e suggerii altri candidati. Avevo in mente Buhle e Krebs. Ma Hitler decise per Guderian.
Molti altri dettagli arrivarono quella sera da Berlino. Goebbels aveva convocato il Maggiore Remer, comandante del Wach-Batallion “Grossdeutschland” di Berlino, e aveva telefonato a Hitler alla presenza di Remer. Hitler disse a Remer di ristabilire l’ordine con la forza delle armi. Il Generaloberst Fromm, che era stato sostituito da Himmler come Comandante in Capo dell’Esercito di Riserva e la cui posizione non era cristallina, aveva, dopo qualche esitazione, preso l’iniziativa nella Bendlerstrasse. Aveva fatto arrestare e fucilare i capibanda. Questi erano Stauffenberg e von Haeften, il Generale Olbricht e il suo Capo di Stato Maggiore Ritter Mertz von Quirnheim. Al Generaloberst Beck venne concessa l’opportunità di togliersi la vita. Hitler fu estremamente infastidito da queste misure sommarie e ordinò immediatamente che gli arrestati fossero portati davanti al Tribunale del Popolo.
Quella sera, dopo la partenza di Mussolini, Goebbels fece pressioni su Hitler affinché facesse un breve annuncio radiofonico. Goebbels disse che vi era grande incertezza fra la gente, che poteva essere placata soltanto da un discorso diretto di Hitler. Hitler si lasciò persuadere e parlò quella sera. Nominò gli aspiranti assassini e disse che “una cricca piuttosto piccola di ufficiali stupidi, ambiziosi, senza principi e criminali” aveva voluto rimuoverlo. “Lo interpreto come una conferma dell’intenzione della Provvidenza”, affermò, “che io debba continuare verso il mio obiettivo come ho fatto in precedenza”.
Alla fine del 20 luglio Hitler fu ovviamente rattristato nel ricevere la notizia della morte a causa delle ferite riportate dallo stenografo Berger. Il 22 il anche Generale Korten, Capo di Stato Maggiore della Luftwaffe, e l’Oberst Brandt dello Stato Maggiore, morirono. Si scoprì che quest’ultimo era appartenuto alla resistenza. Uno strano ruolo fu svolto dal Capo delle comunicazioni presso l’Alto Comando della Wehrmacht, il Generale Fellgiebel. Rimase al Quartier Generale del Führer dopo l’esplosione, si congratulò con Hitler per essersi salvato e fu arrestato il 21 luglio come membro della resistenza. Successivamente venne giustiziato.
Secondo lo staff medico, Schmundt era ferito così gravemente che anche con la prognosi più favorevole non sarebbe stato in grado di riprendere il servizio per diversi mesi. A Hitler mancò molto. Il Generale Burgdorf assunse la direzione dell’Ufficio del Personale dell’Esercito e in ottobre, dopo la morte di Schmundt, divenne Aiutante della Wehrmacht.
Le condizioni di Hitler erano peggiori di quanto si pensasse. Il suo udito era danneggiato e aveva dolori ricorrenti alle braccia e alle gambe. I nervi del suo braccio sinistro erano stati danneggiati. Solo la sua forte volontà e l’accresciuto senso della sua missione lo tenevano in piedi. Alle conferenze sulla situazione parlava spesso in modo tagliente e volgare e faceva richieste all’Esercito e alla Luftwaffe che semplicemente non erano possibili.
Hitler trascorse con me più tempo del solito a discutere della ricostruzione della Luftwaffe. Restavo sorpreso dal fatto che queste conversazioni fossero abbastanza normali e che nessuna critica fosse rivolta agli assenti. Gli dissi che solo a Est avevamo delle prospettive di successo: in Occidente, vista la superiorità aerea nemica, avevamo poche opportunità. Ammetteva che avevo ragione, ma insisteva sul fatto che non si sarebbe mai arreso. D’ora in poi gli eventi avrebbero determinato che i nostri avversari a Est, aumentando in forza e potenza di combattimento, sarebbero stati presto in grado di fare la svolta strategica. Hitler rispose dicendo che i sovietici ci tenevano in un tale timore reverenziale e rispetto che non avrebbero mai osato tentarlo. Questo era inizialmente vero.
Pochi giorni dopo l’attentato, Goebbels arrivò al Quartier Generale del Führer per colloqui. Era suo sincero desiderio che Hitler ordinasse la “guerra totale”. Hitler accettò e nominò Goebbels ‘Plenipotenziario del Reich per la Guerra Totale’, e a tal fine firmò un editto il 25 luglio che elencava i doveri più importanti del plenipotenziario. Questo editto in realtà non cambiò nulla, perché già da tempo eravamo impegnati in una “guerra totale”. Tutto ciò che fece fu indebolire l’autorità di Speer.
In questo periodo von Richthofen venne al Quartier Generale del Führer per dichiararsi idoneo al servizio dopo un’operazione alla testa. Hitler lo ricevette dopo la conferenza serale sulla situazione. Richthofen gli chiese di porre fine alla guerra. Sussultai con orrore: Hitler non era dell’umore giusto per discorsi di questo tipo. Eppure in quella piccola cerchia – solo noi tre – fu aperto e rilassato e disse che non vedeva alcuna prospettiva di ottenere una pace accettabile per la Germania. La discussione proseguì all’infinito su questo e quello. Hitler rispettava von Richthofen, il quale aveva sempre la maniera giusta per esprimere le proprie idee senza essere presuntuoso o sottomesso.