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Dopo di noi, per loro. Il futuro dei disabili

by La Redazione
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Legge Dopo di noi sui disabili

La Legge 112 del 22 giugno 2016 (nota come Dopo di noi) introduce misure di assistenza in favore di persone con disabilità grave per agevolare il loro benessere, la loro piena inclusione sociale e la loro autonomia. È a tutti noto che la problematica in esame, fino all’emanazione della legge, è stata gestita dalle famiglie e dalle associazioni di familiari che, pur in assenza di una normativa, hanno svolto un lavoro egregio, tra difficoltà enormi e scarsità di risorse e di finanziamenti.

Che succederà “dopo di noi”?

Con la legge si colma un vuoto normativo che dovrebbe rispondere all’angoscioso interrogativo: «Cosa succederà ai nostri figli, dopo di noi, quando non ci saremo più?». Questa domanda ha spinto le famiglie con disabili ad aggregarsi tra loro, per farsi forza nel sostenere i diversi percorsi di vita dei figli. La Legge 112 è importante per un motivo concreto: ha istituito un fondo dedicato con 90 milioni di euro per il 2016 e altri 70 milioni per il 2017 e il 2018, risorse affidate alle regioni e destinate a progetti di vita per il «dopo di noi». La legge identifica nella casa la dimensione esistenziale ottimale per realizzare il percorso di vita dei disabili, quando verranno a mancare i genitori o non saranno più in grado di assisterli. Quindi, questa normativa favorisce sia l’aggregazione delle famiglie, incentivandole ad unirsi in associazioni con comprovata esperienza, sia la possibilità di destinare lasciti e risorse per la causa.

Questa legge è importante anche per tutte le realtà già impegnate a sostegno dei nuclei familiari, per supportare il percorso di emancipazione dei figli dai genitori. La nuova norma porta alcuni elementi di novità importanti: l’introduzione del trust come strumento privilegiato per la tutela dei patrimoni destinati al «dopo di noi», il vincolo di destinazione e i fondi speciali di beni sottoposti ad esso; l’esenzione fiscale dall’imposta sulle successioni e donazioni dei beni e dei diritti conferiti in trust, gravati da vincoli di destinazione; l’incremento della detraibilità delle spese sostenute per polizze assicurative in favore dei disabili gravi.

Il quadro attuale conferma la difficoltà istituzionale nell’assumere una prospettiva di riqualificazione delle risposte di sostegno residenziale per la disabilità: tale prospettiva si rende necessaria per orientare i servizi verso finalità e obiettivi di inclusione sociale e vita indipendente delle persone, così come previsto dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, recepita dall’Italia con la Legge 18 del 3 marzo 2009.

Le criticità delle legge attuale

La difficoltà istituzionale è ben rappresentata dal fatto che, nel nostro Paese, l’asse portante delle politiche per la residenzialità per gli adulti con disabilità è l’istituzionalizzazione: vale a dire l’inserimento di persone in stato di bisogno in strutture a loro dedicate, in servizi con oltre 30 posti, che rappresentano l’86% dell’offerta. Le soluzioni alternative (piccole comunità alloggio o convivenza in appartamenti) rappresentano il 3,7% del totale dei servizi residenziali per adulti con disabilità. A fronte di questa situazione di carenza delle risposte in essere, il Dpr del 4 ottobre 2013, coerentemente con la Strategia europea per la disabilità 2011-2020, si pone come obiettivo prioritario la promozione di un processo di «deistituzionalizzazione» da perseguire: attraverso il contrasto alle situazioni segreganti non scelte e non rispondenti alla volontà delle persone disabili e mediante lo sviluppo di progetti residenziali che coinvolgono piccoli gruppi di persone.

Una riflessione particolare va fatta sulle persone adulte con disabilità intellettiva grave, spesso accompagnata da pluridisabilità, ovvero deficit motori, neuromotori o sensoriali, poiché queste persone non hanno capacità di pensare al futuro, né possono fare scelte di vita[1]. Non possono decodificare stimoli esterni, né tantomeno definire risposte, né possono utilizzare il linguaggio scritto o orale, per capire o farsi capire, per cui si tende solo a soddisfarne le necessità primarie. Se, nell’età evolutiva, si punta molto su tutto ciò che è recuperabile circa possibili progressioni cognitive, nell’età adulta si pensa a dare una buona assistenza, senza grandi traguardi da raggiungere[2].

I disabili non sono un “costo”

Il pericolo connesso è, in fondo, quello di considerare il disabile grave come un peso per la società, un «costo», una vita senza sbocchi, senza presente, né futuro. E le famiglie? Il pensiero del «dopo di noi» è intriso di grande preoccupazione di fronte alla prospettiva di istituti piccoli o grandi in cui non si trova più nulla dello stile familiare e in cui sembra sparire il mondo degli affetti[3].

Non basterà neanche la pur interessante Legge 112 se non ci sarà un cambio complessivo di mentalità riguardo alle politiche dei servizi alla persona, pena il ridurre la concretizzazione della legge a sperimentazioni deistituzionalizzanti di nicchia. Inoltre, si deve considerare che, in Italia, i soldi ci sono soprattutto – quelli che restano – nella Sanità e non nel sociale. Si tratta della mai risolta questione dell’integrazione socio-sanitaria, nella quale la parte sociale, che dovrebbe essere prioritaria, è di fatto poco considerata. Non basta pensare al funzionamento, alle attività e alla partecipazione. Non basta la tutela della salute o la cura: l’essere umano è, anzitutto e soprattutto, valori e affetti, in una concreta esperienza comunitaria di condivisione ricca di senso e di speranza, di letizia e di dono, in cui la sofferenza e la morte non abbiano l’ultima parola.

Maria Teresa Baione

(Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di giugno 2019)


[1] V. Mariani, Disabilità intellettiva, Edizioni Paoline, Milano 2013.

[2] G. Alberti – V. Mariani, Dopo di noi, Àncora Editrice, Como 2016.

[3] A Fröhlich, La stimolazione basale per bambini, adolescenti e adulti con pluridisabilità, Brescia 2015.

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