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Le lingue classiche: un’attualità che non conosce tramonto. Intervista con il Prof. Arduino Maiuri

by Francesco Meneguzzo
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figura1Roma, 28 nov – Il Prof. Arduino Maiuri è docente del Liceo Cornelio Tacito di Roma, ricercatore e grande esperto, tra l’altro, di storia delle religioni, in particolare nel mondo classico, di letteratura latina e storia romana, del sacro ella cultura classica, degli ordinamenti giuridici nei mondi greco e romano, della prima cristianità. È autore, in queste materie, di numerosi articoli scientifici e di libri. Scrive, tra le altre, per la Rivista di cultura classica e medioevale, periodico di altissima reputazione internazionale e punto di riferimento per gli studiosi. Suo è, per esempio, l’importantissimo contributo Il Nord nel mondo greco-romano pubblicato su questa rivista nello stesso numero (Anno LV, numero 2, 2013) che ospitava anche un articolo di Felice Vinci che per primo propose la suggestiva ipotesi dell’originaria matrice nordica dell’Iliade e dell’Odissea, di cui si è già scritto su queste colonne.

Il Prof. Maiuri ci ha concesso l’intervista che riproduciamo di seguito.

Prof. Maiuri: le lingue classiche sono un patrimonio unico. Tuttavia oggi sembrano altri i valori trainanti della civiltà tecnologica. Lei crede che abbia ancora un senso promuovere questo genere di studi?

figura2Assolutamente sì. Tuttavia è necessario che il latino e il greco vengano insegnati con grande discernimento, non già insistendo su uno sterile apparato nozionistico, ma cercando piuttosto di incrementare le abilità operative degli studenti. Tra l’altro la preparazione di base con cui oggi essi si accingono ad affrontare il liceo è sempre più precaria, ma non per responsabilità degli insegnanti, anzi tutt’altro: i colleghi della scuola secondaria di primo grado sono a dir poco eroici e meritano un elogio incondizionato! I problemi sono altri…

Potrebbe indicarci quali?

Attenendomi al versante scolastico, punterei senz’altro l’attenzione sulla crisi più generale dell’istituzione, tendenzialmente riluttante ad investire nel mondo della scuola. La povertà di risorse disponibili si traduce direttamente nella mancanza di infrastrutture e nella piaga del precariato. Inoltre stiamo pagando lo scotto di un nuova tipologia di offerta formativa, destinata nei migliori auspici a mietere grandi successi in un prossimo futuro, ma al momento sorretta da un’impostazione logistico-metodologica non ancora chiaramente definita. La digitalizzazione dei libri di testo e l’avvento dei nuovi media si scontrano, infatti, con una sostanziale impreparazione al riguardo del corpo docente, per la maggioranza formatosi sulla base degli antichi sistemi pedagogici, che non mettevano in discussione la centralità del supporto cartaceo. Ma è soprattutto il peculiare momento storico che stiamo vivendo a incidere dal profondo sulla crisi dell’istruzione: c’è infatti il problema più generale dei mutamenti sociali, con la metamorfosi delle cellule comunitarie tradizionali, come famiglia, parentela o vicinato, tutte coinvolte nel transito da una mentalità di tipo sostanzialmente aggregativo ad un meccanismo di regolazione dei rapporti umani marcatamente individualistico; e questo nonostante il potenziale incremento delle opportunità di dialogo oggi riconducibile ai social network, i quali al contrario spesso operano in senso fortemente centripeto e intimistico, favorendo nei soggetti la chiusura in sé e l’adozione di modalità comunicative remote e telematiche, anziché incentrate sulla compresenza fisica. E ultima, ma sicuramente non tale in una ideale gerarchia di importanza delle cause, segnalerei la “bestia trionfante” che alligna tra le nuove generazioni: si vuole tutto e subito, tutto e con assoluta facilità, tutto e con grave pregiudizio dell’etica rispetto all’estetica, del sacrificio rispetto alla logica del profitto, dell’ideale rispetto al materiale. Lo dico non senza un amaro senso di autocritica, perché anch’io ho figli e faccio di tutto per viziarli, non sottraendoli al “diluvio” morale che li circonda, ma cercando di assecondarli in ogni loro piccolo capriccio quotidiano.

E cosa cerca di fare, sul piano pratico e programmatico, il mondo della scuola per ovviare a tutti questi inconvenienti?

Per restare nel campo d’indagine prescelto, senza affrontare problematiche di maggior respiro e più difficile gestione, mi piace qui documentare due importanti iniziative recentemente varate da prestigiosi Licei Classici per riaffermare il fascino e la qualità senza tempo della loro progettualità didattico-educativa. Mi riferisco all’articolata operazione “Classici dentro”, messa in atto nei primi mesi del 2014 da tre Licei storici della Capitale, il Giulio Cesare, il Virgilio e il Visconti, patrocinati per l’occasione dall’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio; ovvero all’evento-dibattito “Il nostro liceo: cambiare per non morire? Un’azione teatrale in forma di processo”, svoltosi a Torino il 14 novembre scorso presso la suggestiva sede del Teatro Carignano, con il sostegno del MIUR e della Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, ma anche di altri enti pubblici e privati. La prima proposta si è dipanata in tre singoli incontri, di diversa finalità e configurazione. Il 12 marzo, presso il Liceo Virgilio, si è tenuto il seminario di aggiornamento per i docenti di area umanistica sul tema “Le competenze degli studi umanistici e la sfida del terzo millennio”. La giornata ha visto avvicendarsi, in qualità di relatori, vari esponenti del mondo accademico capitolino. A seguire, l’11 aprile il Liceo Visconti ha ospitato il processo “In-attualità del Liceo Classico?” (Accusatoria in Italorum Lyceum). I testimoni dell’accusa e della difesa si sono impegnati a dimostrare l’inevitabile declino degli studi umanistici, varcate le soglie del terzo millennio, o viceversa a sottolinearne la perdurante, anzi rinnovata attualità. Hanno animato questa originale cornice tribunalizia personaggi di spicco del mondo politico e culturale, come Nuccio Ordine, Giovanni Maria Flick e Luigi Berlinguer. Il giorno seguente, nei locali del Liceo Giulio Cesare, si è celebrato invece il Convegno “Speranze per la scuola del terzo millennio”. Esponenti del mondo del lavoro e intellettuali di area scientifica e umanistica si sono confrontati sulle nuove frontiere dell’educazione. È innegabile che uno dei pregi principali di questa variegata iniziativa consista proprio nell’aver favorito un proficuo spirito di solidarietà e cooperazione tra gli Istituti scolastici aderenti, anche in prospettiva della formazione di una coscienza comune; che poi resta, purtroppo, una delle chimere inarrivabili per la classe docente, troppo spesso frammentata e disunita anche di fronte a decisioni e svolte epocali. I siti Internet degli Istituti promotori contengono tuttora i link ai molteplici commenti che il mondo della carta stampata ha emesso a ridosso dello svolgimento delle tre giornate, con pezzi di alta scuola firmati da giornalisti di provata esperienza, ai quali rinvio per una disamina più dettagliata ed esaustiva della questione nel suo complesso.

A sua volta la giornata taurinense, sottoscritta da tutti i principali Licei del Piemonte, dal Cavour al Galileo Ferraris, il Gioberti, il Giordano Bruno, il Gobetti, il Valsalice, il D’Azeglio e l’Alfieri di Torino, per proseguire con il Carlo Alberto di Novara, il Botta di Ivrea, il Peano-Pellico di Cuneo, il Plana di Alessandria e il Porporato di Pinerolo (e non me ne vogliano quanti ho involontariamente omesso…), ha avuto come ospiti Umberto Eco, difensore dell’indirizzo classico, e l’economista Andrea Ichino, nella funzione di accusatore delle lingue morte. Corno del dilemma è stata la scarsa spendibilità sul mercato del lavoro dello studio dei classici. Intrinsecamente così faticoso, esso d’altra parte si caratterizzerebbe, a detta dell’accusa, per una sostanziale inutilità, in un’epoca in cui ben altri sono i miti e le icone della realtà in cui ci troviamo ineluttabilmente immersi (in sostanza, le morattiane “tre I”: inglese, informatica e impresa).

È disponibile online il programma integrale dell’iniziativa, cui hanno preso parte insigni esponenti del mondo umanistico, come il grecista Luciano Canfora o il latinista Ivano Dionigi.

E a lei, professore, è già capitato di prendere posizione ufficiale in codesta querelle?

Sì, certo. Solo a titolo di esempio, ricordo alcune dichiarazioni rilasciate un paio di anni fa da Bruno Vespa nel suo noto programma serale, sull’opportunità di abolire il Greco dal curricolo scolastico, in quanto lingua troppo complicata, inadatta ai tempi e persino sostanzialmente inutile. Colsi allora l’occasione per formulare una piccola replica, garbata e bonaria ma anche molto ferma.

Potrebbe dunque sintetizzare anche a beneficio dei nostri lettori gli argomenti su cui fonda la sua apologia delle lingue classiche?

figura3Certamente. Studiare il Latino in Italia è cosa a dir poco lapalissiana. Tanto più che basta andare all’estero per apprezzare la considerazione di cui godevano i nostri progenitori Quiriti presso tutti i popoli con cui entrarono in contatto nella loro irrefrenabile azione “civilizzatrice” (per mutuare, ma in senso edificante, l’intuizione che Tacito attribuì al fiero generale caledone Calgaco). Solo noi sembriamo non rendercene pienamente conto, al punto che è dato constatare una singolare frizione tra l’enorme considerazione tributata al nostro passato dai Paesi stranieri e la costante opera di demolizione, materiale – leggasi l’incuria in cui spesso versano inestimabili tesori archeologici – e immateriale – ossia il reiterato tentativo di stemperare l’apporto, anche solo sul piano meramente quantitativo, degli studi umanistici nel sistema della pubblica istruzione –, alla quale risulta sottoposta la nostra illustre Storia per colpa dei suoi presenti epigoni.

Il mondo classico offre, infatti, ai suoi estimatori, qualunque sia poi la loro specifica “mission” nella società, una profonda consapevolezza identitaria, un radicato spirito di appartenenza, un substrato ideale per poter attivare con il prossimo un fertile dialogo condotto all’insegna dei valori civili, del confronto e del rispetto dell’altrui persona, oltre a una gamma sconfinata di precetti esistenziali (a livello individuale) e ideali comunitari (sul piano pubblico), per non parlare della capacità elettiva di lettura della realtà che promana vividamente dalla corretta conoscenza delle proprie radici storiche. E questi sono solo i macrobenefici connaturati all’eccelsa statura dei principi valoriali…

Ma c’è dell’altro: sul piano delle acquisizioni soggettive, infatti, questo tipo di attività mentale è destinata alle più disparate applicazioni. È dimostrato, infatti, che lo sviluppo di abilità teoretiche e operative dovuto alla risoluzione di problemi complessi, come la traduzione di un brano dal greco antico, stimola una significativa elasticità cerebrale, in seguito proficuamente spendibile anche in ambiti apparentemente del tutto distanti dal presupposto pratico di partenza. Si può dire, insomma, che lo stesso dominio del tecnicismo più esasperato, oggi così in voga, può trarre un enorme giovamento da un fondamento strutturato in termini sistematici; e d’altra parte sembra anche vero il contrario, nel senso cioè che il suddetto tecnicismo appare alla lunga destinato a rivelarsi vacuo e perdente senza la surroga e il sostegno di contributi sapienziali di lunga data. Quante volte, infatti, anche i più accreditati luminari si dichiarano afflitti dal tardivo rimpianto di non aver potuto o voluto affinare in gioventù la loro preparazione, accostandosi a opere e autori che molto più tenacemente si sarebbero sedimentati nei loro animi nell’apprendimento adolescenziale, venendo così di fatto a incasellarsi quasi per incanto in un “eterno possesso” di tucididea memoria?

Caro Professore, la sua enfasi le fa davvero onore, non abbiamo avuto l’ardire di interromperla… Ora però dobbiamo proprio chiudere. Le porrei un’ultima domanda, a questo punto: com’è possibile che, nonostante tutti questi vantaggi, soggettivi e oggettivi, che il greco e il latino provvedono alla crescita umana e alla formazione culturale degli alunni, è in atto una requisitoria così veemente e serrata nei loro confronti? In effetti il ripensamento sui singoli apporti disciplinari è argomento di primo piano nella Riforma vigente, ma ancor più nelle future modifiche che si vanno studiando in prospettiva.

Il punto è che, come ho cercato sinteticamente di dimostrare, i vantaggi connessi con uno studio solido come quello delle lingue classiche sono immensi. Purtroppo, però, essi non risultano sempre tangibili e materialmente apprezzabili, almeno secondo un criterio di primaria evidenza. Si tratta di possessi “virtuali”, che incidono cioè solo sul campo sfumato e sfuggente delle competenze e delle abilità. Il beneficio che se ne ricava opera, in altri termini, in maniera induttiva, quasi subliminare, il che ne rende l’acquisto particolarmente inafferrabile, a tratti persino imponderabile. In una civiltà, come la nostra, in cui tutto invece va misurato e quantificato (il che in ultima analisi non è neppure ingiusto, in nome di un criterio inossidabile come quello della trasparenza), è evidente che un simile possesso è destinato a farsi sempre più volatile ed evanescente. Anche per questo sarà difficilissimo misurare con una certa attendibilità i meriti dei docenti, altro tema che oggi va per la maggiore, con la “buona scuola” di Renzi. Lo si farà, certo: la tendenza verso la meritocrazia è un iter inevitabile; ma sfido chiunque a trovare gli indicatori docimologicamente corretti. I fattori considerati non potranno mai riflettere con efficacia il peso e l’effettiva incidenza del docente sul discente, che è materia viva, pulsante, fragile e incredibilmente bisognosa, nella sua straordinaria umanità.

Cosimo Meneguzzo

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