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Quei ragazzi “odiati e fieri”: breve storia dello stile skinhead

by Roberto Johnny Bresso
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Milano, 27 mag – Oggi torniamo ad occuparci di abbigliamento e, precisamente, di alcuni dei marchi che hanno fatto la storia di uno dei culti giovanili più seguiti, temuti e odiati da media e benpensanti: stiamo parlando dello stile skinhead, sviluppatosi nelle strade della Londra anni ’60 per poi diffondersi in tutto il mondo. Iniziamo il nostro excursus partendo dalla polo per eccellenza degli skins, vale a dire la Fred Perry.

Lo stile skinhead: la polo Fred Perry

Nato a Stockport, una cittadina di poco più di centomila abitanti a sud di Manchester, Fred Perry era figlio di un artigiano impegnato come sindacalista, tanto da trasferirsi ad Ealing per rappresentare i laburisti in Parlamento. Alla scuola pubblica il giovane Perry imparò il cricket e il calcio, ma i risultati non furono quelli sperati. Eppure Perry si intestardì, soprattutto dopo che, avendo domandato a suo padre di chi fossero le belle auto allineate lungo il Devonshire Park di Eastbourne, gli fu risposto dei tennisti”. Avendo quindi trovato la sua vocazione, vuoi per indole naturale, vuoi per accentuato spirito di ascesa sociale ed economica, il padre si convinse a farlo ritirare dagli studi, dandogli un anno di tempo per sfondare nello sport della racchetta. Il primo viaggio negli States gli fruttò il secondo posto in un torneo di doppio, poi vinse il suo primo grande torneo nel 1931, il Campionato d’Argentina e venne ammesso nella giovane squadra di Coppa Davis che fece tremare la Francia dei Quattro Moschettieri per diventare poi la compagine dominante, mantenendo il possesso dell’Insalatiera fino al 1936. In Davis Perry vinse ben 42 dei 52 incontri disputati.

Fu però nel 1933 che Perry si impose all’attenzione mondiale, quando vinse il suo primo torneo del Grande Slam, lo US Open. Nel ’34 Perry si aggiudicò l’Open d’Australia e vinse anche a Wimbledon: sui campi in erba dell’All England Tennis and Croquet Club – il terreno naturale per valorizzare appieno la rapidità del suo gioco – Perry vinse per tre anni consecutivi, dal ’34 al ’36. Fortissimo atleticamente, molto veloce, Perry era in grado di giocare l’ultima palla del match con la stessa lucidità della prima. Nel 1935 si sposò con la bellissima attrice Helen Vinson, la prima delle tre mogli della sua movimentata vita sentimentale. Il 1936 fu l’anno del passaggio al professionismo. Nonostante la fama, gli onori e le vittorie, Perry non era ancora diventato ricco come sperava ed accettò la proposta avanzatagli dal collega Bill Tilden, acquisendo anche la cittadinanza americana. E alla fine il figlio dell’artigiano inglese divenne veramente ricco, con l’affermazione della casa di produzione delle sue celebri polo, contraddistinte dalla famosa corona d’alloro, dirette concorrenti del coccodrillo Lacoste. Ma Perry fu anche giornalista e commentatore sportivo per la radio e la televisione.

È scomparso nel 1995 in seguito ai postumi di una caduta verificatasi a Melbourne, dove si era recato per seguire l’Open d’Australia. La sua statua è posto all’ingresso di Wimbledon ed è meta di pellegrinaggio di appassionati da tutto il mondo. La polo venne immediatamente adottata dagli skinheads inglesi per la sua facile reperibilità e per essere così strettamente legata alla nazione di Sua Maestà.

La camicia Ben Sherman

Ed ora passiamo alle camicie e per uno skin camicia significa una cosa sola: Ben Sherman. Anche se negli ultimi anni ha perso gran parte del suo fascino, ricercando nuove linee per lo meno bizzarre, il modello di camicia classico resta veramente inarrivabile.

Alfred Benjamin Sugarman nacque nel 1925 a Brighton e, a vent’anni, decise di cercar fortuna prima in Canada e poi negli Stati Uniti. Dopo svariati lavori e due matrimoni falliti, l’incontro che gli cambiò la vita, quello con la sua futura terza moglie Ruth. Il padre di lei era un produttore di successo di linee di abbigliamento ed insegnò ad Alfred i segreti del mestiere. Ma la linea del suocero era troppo conservatrice ed antiquata per i gusti moderni di Alfred che, nel 1962, decise di ritornare a Brighton insieme a consorte e prole. Nella città natale cambiò il suo nome in Ben Sherman. Fallito pure il suo terzo matrimonio (non ebbe gran fortuna in amore il caro Ben…) Ruth e i figli ritornarono in America e Ben comprò una piccola fabbrica nella celebre città marittima inglese. Nel 1963 fondò il marchio Ben Sherman, producendo camicie ispirate a quelle dei college americani. Il prodotto ebbe immediata fortuna grazie soprattutto al fatto che Brighton fosse la patria dei Mods durante i weekend e i bank holidays: i ragazzi in parka si innamorarono immediatamente del suo iconico design. Da lì fu tutto in discesa: nel 1967 nuovi negozi tra cui quello storico in Carnaby Street a Londra e l’esplosione del culto skinhead che rese ancora più riconoscibile il brand, spianando la strada verso il mercato internazionale, tanto che nel 1973 partì con la sua quarta moglie per l’Australia allo scopo di lanciare anche agli Antipodi i suoi affari. 

Ben Sherman è morto a 62 anni nel 1987. Il suo nome è entrato nella leggenda.

La felpa Lonsdale

Passiamo adesso alle felpe e felpa, fino a qualche anno fa, voleva dire Lonsdale. La storia della Lonsdale, prima ancora che legata a quella delle sottoculture, è strettamente connessa alla storia della boxe.

Tutto inizia nell’ultimo decennio del 1800 quando il quinto Conte di Lonsdale, Hugh Cecil Lowther, organizzò i primi incontri di pugilato con i guantoni ed è per questo riconosciuto come uno dei padri fondatori della boxe moderna. Proprio a lui si deve il colore giallo presente sulla seconda maglia dell’Arsenal, in quanto i fondatori dei Gunners amavano questo colore presente sul simbolo araldico dei conti di Lonsdale. Nel 1909 si ha l’istituzione della Lonsdale Belt, la più antica cintura della boxe professionistica.

Nel 1960 il settimo Conte di Lonsdale, James Hugh William Lowther, diede il permesso all’ex pugile professionista Bernard Hart di vendere abbigliamento ed attrezzature sportive con il marchio Lonsdale. Hart aprì quindi lo storico negozio a Soho. Da qui il periodo d’oro per il brand che venne addirittura indossato da uno dei più grande boxeur di tutti i tempi, Muhammad Alì. Sul finire dei settanta invece avvenne la consacrazione della label nel mondo delle sottoculture, diventando oggetto feticcio per skins e mods.

Ed ora? Be’, ora la Lonsdale ha perso quasi completamente le sue radici e la sua anima… Ha abbandonato il mondo del pugilato ed i ragazzi che l’hanno messa per anni si sono trovati spiazzati dalle più recenti collezioni: scritte pacchiane sempre più grandi, astucci, diari, felpe indossate da chiunque… La fine di un mito? Temiamo di sì, ma spesso la moda, come la storia, è circolare.

I boots degli skinhead

E concludiamo il nostro percorso con i boots per eccellenza. Tutto inizia nel 1945 quando il Dottor Klaus Maertens si ruppe un piede sciando sulle Alpi Bavaresi. Per riuscire a camminare meglio durante la riabilitazione progettò delle scarpe con una suola speciale utilizzando dei pneumatici d’auto, poi mostrò il tutto all’amico Dottor Herbert Funck ed insieme decisero di commercializzare la calzatura. Nel 1959 i due creano una ditta per sviluppare al meglio l’idea e nasce in questo modo la Dr. Maertens, anche se non verranno prodotte scarpe con la suola ideata da Klaus. Un anno dopo la R. Griggs Group, situata a Wollaston in Inghilterra, decide di produrre su larga scala il primo modello con la rivoluzionaria suola, il Dr. Martens 1460 (viene così inglesizzato il nome).

Inizialmente ebbe grande successo tra i lavoratori britannici, ma di lì a breve esplosero le varie sottoculture… E il resto è storia, tanto che per alcuni anni i celebri anfibi vennero banditi dagli stadi inglesi, essendo di fatto utilizzati come vere e proprie armi, così che si possono ancora ammirare iconiche foto di skins ed hooligans che accedono alle terraces in calzini, con tutti i loro anfibi appoggiati alle cancellate! E, anche se la qualità spesso non è più quella di un tempo, Dr. Martens resterà sempre sinonimo di anfibi.

Il nostro viaggio nella moda per ora termina qui, ma avremo ancora modo di occuparci di abbigliamento e sottoculture.

Roberto Johnny Bresso

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3 comments

blackwater 27 Maggio 2023 - 11:32

oddio….un bel pò di dimenticanze,ma probabilmente l’autore nel 1981 (seconda ondata skin) doveva ancora nascere.

assolutamente e splendidamente SKIN è stato il cosidetto “bomber” ossia la flight jacket americana MA1 rigorosamente verde con l’interno arancione ad alta visibilità;

mai nessuno prima degli skinheads aveva fatto uso di quel capo,in assoluto il capo skin più iconico prima che – via skinheads – venisse portato un pò da tutti a fine anni 80.

condivisa con i Mods invece, era la Harrington jacket nera con il classico interno in tessuto scozzese Fraser.

tipicamente skin era anche il blu jeans pesantemente decolorato a chiazze rigirosamente accorciato; questo serviva per far vedere che si calzavano gli anfibi o i monkey boots.

da non dimenticare la coppola donegal oppure (ma tirato per i capelli…rasati) il cappello “pork pie” di diretta dervazione ska.

spesso veniva indossata una sciarpa della propria squadra di calcio,ma non solo per andare allo stadio,ma nella vita di tutti i giorni.

ultimo tratto 100% skin…le bretelle sottili portate rigorosamente “slacciate” ossia ai fianchi.

PS gli skin della seconda ondata del 1981 in Inghilterra,non sapevano nemmeno cosa fossero le camicie;le T-shirt con i gruppi skin preferiti dell’epoca erano invece quasi indossate quasi sempre.

interessante invece notare come per le ragazze skin era tipica la minigonna in tessuto scozzese; ma questo tessuto era già stato usato e pubblicizzato da Vivienne Westowood per realizzare nel 1977 i pantaloni punk per autonomasia,caratterizzati da un “gonnellino” alla apache e straps/cinghie tra le gambe.

“i don’t say sorry to anyone ! “

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fabio crociato 27 Maggio 2023 - 11:54

Non potrà mancare l’ eskimo sessantottino e su chi ci ha fatto soldi alla grande, sul porta chiavi… inglesi. O no?

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Andrea 28 Maggio 2023 - 8:57

Articolo molto interessante per me che studio Fashion design in Accademia

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