Firenze, 16 Gen – La storia di Simone Speggiorin è quella di un giovane caridochirurgo della provincia di Venezia, iniziata nell’università di Padova e proseguita, come troppo spesso succede, fuori dal nostro Paese. Che lo prepara per diventare medico specialista, per poi abbandonarlo a sè stesso. La sua storia, uscita in un articolo del Fatto Quotidiano, è emblematica. Emigrato a 32 anni in Inghilterra, Simone entra in contatto con il mondo della chirurgia “applicata”. Durante gli studi, infatti, di ferri ne aveva toccati sempre pochi, a giudicare da quanto racconta: “Durante la specializzazione non operi, le operazioni le guardi e basta. Finiti gli studi ottieni un diploma, sei legalmente abilitato a fare interventi, ma non ne sai fare mezzo”. Non solo. “Poi ti assumono ma non ti affidano pazienti, non vai a fare operazioni da solo, fino a 45 anni fai l’assistente del professore, decide lui per te e prima di te, in coda, ci sono tanti altri dottori che da anni aspirano a un posto”.
A differenza degli ospedali italiani, in Inghilterra se ti pagano uno stipendio vogliono essere sicuri che te lo meriti: “Qui durante la specializzazione fai un training di almeno 300 operazioni e se l’ospedale ti prende usi bisturi e ferri, non fai finta”. Simone si decide ed inizia il training. Dopo tre anni si sub-specializza in chirurgia tracheale e cardiochirurgia pediatrica. Pubblica articoli su diverse riviste scientifiche, si fa conoscere in giro e soprattutto sviluppa “il lateral thinking, la mentalità del chirurgo anglosassone”. Simone chiarisce al volo: “Impari a pensare e muoverti in squadra, tenendo conto del parere di infermeri, anestesista e assistenti”. Per completare il training, quello che l’Università italiana non gli ha garantito, Simone si dà da fare da solo, alza la cornetta e si cerca l’ospedale dove praticare il più possibile. Alla fine lo trova in India, dove sa che hanno bisogno di lui perché ci sono tantissimi bambini affetti da malformazione al cuore e i medici non sono abbastanza. Ci sta dieci mesi e accumula 300 interventi: “Operavo dai 3 ai 5 casi al giorno, sei giorni su sette”. Ora ha le carte in regola per fare il chirurgo a 360 gradi. Quindi ritorna in Inghilterra e si trova subito di fronte a un bivio: gli offrono due posti, uno a Leicestere l’altro a Sidney. Simone opta per il primo, così è più vicino alla sua famiglia.
Oggi Simone ha 36 anni, lavora in Inghilterra ed è il primario più giovane del Regno Unito. Cura i bambini con malformazioni cardiache, fa tre interventi alla settimana a cuore aperto, inizia alle 6.30 del mattino e stacca senza orari, a volte anche a tarda notte. Altro primato: è il chirurgo con meno anni in Europa ad avere eseguito un trapianto di polmoni su un bambino di soli sei mesi. E poi nel marzo 2010 era nell’equipe che per la prima volta al mondo ha fatto un trapianto di trachea su un bambino, utilizzando le cellule staminali del paziente. Oggi sta studiando il sistema di lanciare il primo skype – ambulatorio al mondo: ““Sto sviluppando una specie di clinica via skype: i pazienti possono prenotare le visite a distanza. Spesso infatti abitano a due/tre ore di macchina. Io gli comunico i rischi e i benefici dell’intervento (già deciso con il team). La consulenza via Skype però non può sostituire la visita clinica vera e propria. Se hanno dubbi nella fase post operatoria possono prima contattarmi online. In questo modo l’ospedale risparmia molti soldi ed è meno affollato”
Nel frattempo che notizie giungono dall’Italia? “Nel 2010 da Londra mi sono iscritto a un bando per un posto all’Ospedale Pubblico di Ancona, ma non ho più avuto risposte: pensavo che non gli fosse piaciuto il mio curriculum. Invece, il 28 agosto 2013 mi è arrivata una lettera a casa in cui mi invitano a partecipare al concorso indetto tre anni fa. Io gli ho telefonato e gli ho detto ‘No, grazie’. Questa è l’Italia”.
Francesco Benedetti