Roma, 26 dic – Settanta anni fa, nel dicembre 1944, mentre nelle Ardenne si sviluppava l’ultima offensiva tedesca, e i Panzer e i Granatieri SS del Kampfgruppe Peiper diedero la breve illusione di ripetere i successi del maggio-giugno 1940, anche sulla Linea Gotica in Italia, precisamente nell’alta valle del Serchio, in Garfagnana, l’Asse tornava all’attacco (contro ogni previsione Alleata, vista la propria enorme supremazia area, navale e terrestre ormai consolidatasi negli ultimi due anni del conflitto) iniziando il 26 dicembre 1944 l’Operazione “Tempesta d’Inverno”, un attacco locale contro le posizioni avanzate delle truppe di colore della 92a Infantry Division “Buffalo”. Tornava all’attacco, qui in Italia, con mezzi molto inferiori alle forze corazzate di von Rundstedt, von Manteuffel e Sepp Dietrich nelle foreste tra Francia e Belgio, ma per noi italiani dovrebbe essere motivo d’orgoglio sapere che tra i soldati che discendevano le pendici innevate della valle dirigendosi verso le postazioni americane, tra le aquile e gli elmetti d’acciaio della Wehrmacht, si potevano scorgere anche le penne dei nostri Alpini della Divisione “Monterosa” e i Leoni della Divisione “San Marco” della RSI, e che tra i proiettili che cadevano sui caposaldi dei GI e i nidi di mitragliatrici Browning distruggendoli vi erano le granate italiane dei pezzi d’artiglieria alpina del Gruppo “Bergamo” e dei mortai della “San Marco”. L’attacco ebbe pieno successo, mettendo in rotta le truppe USA e permettendo di migliorare l’andamento della linea del fronte italo-tedesco nel settore, che sarà lasciato dai soldati tedeschi e italiani solo nell’aprile 1945 conseguentemente all’offensiva finale Alleata.
Riportiamo di seguito una testimonianza dell’attacco nelle parole di un mortaista del Battaglione “Uccelli” della Divisione “San Marco”, il Marò Giancarlo Leonardi:
“Sul fronte era la calma, qualche colpo di cannone, qualche lontana raffica di mitragliatrice, l’uno-due di lontani semoventi. Ma calma. Si arrivò così al 26 dicembre 1944. […] Dietro gli sporchi ed appannati vetri di questa lurida bicocca, fuori c’è un mare di aria blu dove navigano lentamente una processione di stelle. Di tanto in tanto, più in basso, a filo della dorsale, iniziarono a sfrecciare proiettili traccianti, barlumi di luci colorate, scie di polvere luminosa delle armi americane. Uno spettacolo di autentici fuochi di artificio che vanno a cadere quà e là, e la tua spina dorsale è percorsa da un brivido. La guerra e siamo a Natale! “Che scrivi”, mi fa Sala, mettendomi una mano sulla spalla, “Le mie prigioni?”.
“Pensieri”, rispondo e Scireseta, cioè il Maggi, seraficamente mi apostrofa: “Guarda che le ha già scritte il Pellico”. “Ah sì? Non lo sapevo. Beh, ci cambierò il titolo, dopo, a casa”. “Se ci si arriva”, mi fa lui di rimando. Erano forse le dieci o le undici di notte. Gli anziani erano attorno al grosso camino, ad un certo punto arrivò l’inconfondibile stridio dei cicalino. Grande trambusto. Il Comando ci ordinava di prendere immediatamente posizione ai pezzi. Si salì alle postazioni, e si dette il cambio ai due uomini di guardia, che scesero a riscaldarsi. La tela scura della notte era ora chiazzata da bagliori rossi, giallastri, e da cascate di scintille fosforescenti. Arrivò l’ordine di entrare in azione. Puntare i mortai su Molazzana e Gallicano, e tenersi incollati al radiotelefono. La comunicazione del Comando era che i nostri reparti avevano sferrato una offensiva a sorpresa contro la 92ª Divisione americana. Alcuni reparti dalla parte di Cascio erano già in prossimità del Serchio. Venne dato l’alt per Molazzana. Significava che i nostri avevano conquistato il paese. L’ordine era ora di centrare Gallicano con tutti i pezzi. Si era corti: allungammo di due o tre linee, nel nostro gergo significava due o trecento metri. È naturale che, essendo il tiro dei mortai per caduta, noi correggessimo “di più o meno uno” sia a sinistra che a destra. Poi passammo a Monte Faeto. Eravamo elettrizzati. Dopo tante umiliazioni da parte di indiani, senegalesi e di mastica gomma, anche noi ci mettemmo a dare sberle. La luna bianca e senza espressione, se ne era andata a coricarsi dietro il fogliame secco dei castani. Arrivò il “buono” ed il perentorio stop del Gran Capo, il Comandante Uccelli: “Bel lavoro, goldoni. Grazie” e ancora: “Siamo a Gallicano e procediamo”. Era ancora buio quando arrivammo a Stazzana. La gente dentro era in apprensione, forse era impaurita.
Noi eravamo entusiasti. Accendemmo le lampade a petrolio e si appiccò un nuovo fuoco nel camino. Una delle vecchie si affacciò per dirci se volevamo un poco di latte caldo, era un pretesto per sapere qualcosa. La tranquillizzammo, dicendole che gli americani erano stati scacciati da Gallicano, e che se ne stavano fuggendo lontano. Riprendemmo a mangiare quello che c’era rimasto, e a bere del buon vino fresco. Buon Natale! Quanti morti? Era l’alba. Salimmo a Montealtissimo e scendemmo su Molazzana. L’ordine era di approvvigionarsi col bottino di guerra”.
Andrea Lombardi